PRESIDIO IN DIFESA DELLA SANITA’ PUBBLICA

LE NOSTRE VITE VALGONO PIU’  DEI LORO PROFITTI.

GIU’ LE MANI DAI SERVIZI SANITARI PUBBLICI.

La Sanitàin Campania è allo stremo. Ovunque chiudono ospedali e ambulatori, le condizioni igieniche e l’affollamento sono spaventosi, lunghissime le liste d’attesa. Ormai è chiaro che a ripianare il debito e a pagare la crisi dovranno essere i cittadini, quelli più in difficoltà: aumentano i ticket da 50 € (prima visita) e 25 € (seconda), e si introduce il “contributo di solidarietà” di 10 euro per i non-esenti e 5 per gli esenti (disoccupati e familiari sotto 800 € mensili, pensionati con il minimo, nucleo familiare sotto 1000 €), un “prelievo forzato” . Sempre più spesso i pazienti, per non dover interrompere la terapia a causa di chiusure improvvise e attese infinite, sono costretti a rivolgersi ai centri privati, i soli che dal collasso degli ospedali campani hanno tutto da guadagnare!

A Napoli la situazione dei servizi sanitari territoriali è insostenibile, e attraversa ogni quartiere, distretto, presidio. Medici e operatori andati in pensione non vengono sostituiti da nuovi assunti, per cui prestazioni e ricoveri si basano sul lavoro straordinario, i pazienti vengono sballottati da una struttura all’altra, gli operatori messi in mobilità e i lavoratori delle pulizie e lavanderia, quelli di ditte per la manutenzione in moltissime strutture non ricevono stipendi da mesi. L’utenza, esasperata, protesta contro la mancanza d’igiene in molti reparti (accade al Cardarelli, al Loreto Mare, al Vecchi Pellegrini), scende in strada per opporsi alla chiusura del pronto soccorso (Ospedale San Gennaro) o li occupa per la chiusura degli ambulatori (distretto 42).

La condizione più disperata la vivono le persone colpite da patologie tumorali, cresciute esponenzialmente

I cittadini campani, che siano pazienti o lavoratori, hanno già sacrificato troppo della loro esistenza. Ora spetta ai veri responsabili “pagare le cure” per superare questa crisi, contratta dal mercato globale attraverso il virus del liberismo.  nella nostra regione negli ultimi anni, grazie ad una politica sui rifiuti fatta di discariche, inceneritori e inquinamento. All’Istituto Nazionale per la cura dei tumori “Fondazione Pascale” da luglio scorso non si eseguono più terapie alle pazienti affette da tumori alla mammella, addirittura è di questi giorni la notizia dello smantellamento di quasi tutto il reparto di Radioterapia. Il motivo sarebbe il rinnovo dei macchinari, dichiarati obsoleti e addirittura pericolosi (ma fino a luglio né la dirigenza né gran parte dei rappresentanti sindacali si erano preoccupate dell’incolumità delle pazienti e degli operatori a quanto pare), senza dire in realtà quando e se riaprirà. Alcuni dirigenti dell’Istituto, dopo le contestazioni, si sono convinti a tenere aperto almeno uno degli impianti di radioterapia destinati a chiudere. L’unico a opporsi è il direttore del dipartimento, Paolo Muto, che, da testimonianze di alcune pazienti, pare stia invitando a rivolgersi alle cliniche private. Un chiaro conflitto d’interesse, dato che il prof. Muto è socio di una catena di centri radioterapici sparsi in tutta la regione. Ai lavoratori se va bene, si chiede flessibilità, altrimenti resta il licenziamento.

MARTEDì 22 NOVEMBRE

ore 11.00

Ospedale Pascale – fermata Metro 1 “Rione Alto”

                                Movimento di lotta perla Sanità Pubblica

 

Evento Facebook 

 

 

 

 

 

 

 

 

17 novembre: non abbiamo governi amici… fateli voi i sacrifici!

EVENTO FACEBOOK

17 novembre del ’73: erano gli anni della “Giunta” in Grecia e l’università di Atene, il Politecnico, era occupato dagli studenti che protestavano contro la dittatura dei colonnelli. Quel giorno, carri armati, polizia e forze paramilitari giunsero dinnanzi ai cancelli del Politecnico, gli studenti si arrampicarono su di essi per evitare l’avanzata dei “tank”, ma dopo poco Papadopoulos ordinò all’esercito di porre fine alla protesta: un carro armato Amx 30 abbatté i cancelli, travolgendo gli studenti che vi si erano arrampicati sopra. Furono circa 80 i morti e centinaia i feriti. Questo è i l tragico episodio che ha reso il 17 novembre la giornata internazionale dello studente.

 

Ora non si entra con i carri armati nelle università, ma continua ad essere difficile esprimere il proprio dissenso nei confronti di chi, in questo momento, sta distruggendo il mondo dell’istruzione pubblica e quello dei servizi sociali.

 

Basti pensare agli episodi del 3 novembre a Roma quando  gli studenti,  scesi in piazza per infrangere il divieto di manifestare imposto in seguito ai fatti del 15 ottobre, sono stati malmenati dalla polizia che, poco dopo, è addirittura entrata nelle scuole per identificare gli assenti di quel giorno. Episodi simili sono accaduti a Palermo, dove la digos, chiamata dal preside della facoltà ha impedito, minacciando lo sgombero e identificando alcuni studenti, che si svolgesse un’ iniziativa nell’università e, diverso nelle modalità, ma uguale negli intenti è quello che è accaduto a Brescia ad un ricercatore di economia, minacciato di sospensione e ritiro dello stipendio per un anno dalle autorità accademiche, per aver pubblicamente espresso le sue idee politiche.

 

In una situazione difficile come quella che stiamo vivendo in questi giorni, che vede protagonista la BCE  con le sue richieste (o meglio imposizioni) “lacrime e sangue”,  la controparte cerca in ogni modo di chiudere spazi di agibilità politica, di confronto e condivisione di idee proprio per evitare che si alzi la testa, che si vengano ad unire le lotte di quei soggetti realmente colpiti dalla crisi, dagli studenti ai lavoratori, dai disoccupati ai pensionati. Nella legge di stabilità approvata qualche giorno fa a cavallo con le dimissioni di Berlusconi, non si parla solo di pensioni a 67 anni e di liberalizzazioni e privatizzazioni dei servizi pubblici, si entra nel merito anche di temi che riguardano più strettamente l’istruzione.

 

Sappiamo bene che in 2 anni sono stati tagliati a scuole e università circa 8 miliardi e 13 milioni di euro ebbene, nel maxi-emendamento si parla di nuovi finanziamenti all’istruzione … arrivano più di 200 milioni alle scuole PRIVATE e circa 20 milioni alle università, ovviamente PRIVATE! E mentre si continua  a tagliare sui servizi pubblici, come i trasporti, si stanziano ben 700milioni di euro per le “missioni di pace” o sarebbe il caso di chiamarle guerre imperialiste.

E per chi crede ancora alla storiella dell’unità nazionale e che i sacrifici che ci chiedono tocchino tutti allo stesso modo, basta leggere come la lettera alla BCE, dell’ormai ex-governo italiano, metta a nudo ciò che noi studenti rappresenteremmo per loro, ossia prezioso “capitale umano” da promuovere e da valorizzare. Sempre nella stessa lettera troviamo scritto che si “amplieranno autonomia e competizione tra le Università” che nella lingua di noi comuni mortali significa una sola cosa, ossia che si smetterà di erogare fondi e ogni ateneo dovrà reperire autonomamente le proprie risorse, prostrandosi in tutto e per tutto alla volontà dei privati: quegli imprenditori-avvoltoi che sono sempre pronti a scaricare i costi di formazione dei lavoratori sul settore pubblico in rovina, anziché farsene carico nella propria azienda.

 

Il 17 novembre scenderemo in piazza per i nostri diritti, per l’istruzione, per i trasporti, per il lavoro, per la sanità… Non possiamo fare finta di niente non possiamo starcene  a casa, non possiamo solo indignarci. Sappiamo bene chi sono i responsabili di questa crisi, chi ne deve pagare i costi e a chi chiedere sacrifici!

 

 

Collettivo Autorganizzato Universitario * CDUP Ingegneria

Coordinamento II Policlinico * Collettivo BreakOut Architettura

Solidarietà a Giulio Palermo

Esprimiamo solidarietà massima al compagno Giulio Palermo, ricercatore dell’Università di Brescia il cui rettore ha chiesto la sua sospensione per le sue posizioni politiche. Già l’anno scorso ebbe pressioni per aver portato gli studenti sotto la gru dove degli immigrati salirono per protestare contro questo governo della disuguaglianza, per aver denunciato più volte pubblicamente il sistema di “reclutamento” dei docenti universitari e aver lottato contro l’oppressione.

 Giulio ha il torto di essere un economista marxista e proprio a settembre è venuto a Napoli per spiegare agli studenti cosa sono le varie manovre varate e quali saranno le loro conseguenze.

 Lega Nord e poteri baronali cercano di zittirlo, noi invece chiediamo più docenti e ricercatori come lui che favoriscono realmente il dibattito nelle aule universitarie e non docenti che “formano” studenti disciplinati che obbediscono acriticamente al sistema in cui siamo costretti a vivere.

Chiediamo a tutti di far girare l’info e sostenere la sua lotta!

 Dalla sua pagina facebook: “L’altro ieri sono stato processato dal Collegio di disciplina del Consiglio universitario nazionale per non essermi lasciato schiaffeggiare da una professoressa ordinaria della mia università. L’ateneo, intervenuto al processo che si è tenuto a Roma, al Ministero, ha chiesto la mia sospensione dal servizio (e dallo stipendio) per un anno. La decisione del Collegio baronale, ovviamente, non mi è stata comunicata. Sarà trasmessa prima alla mia università, da dove è partita l’accusa, e solo successivamente quest’ultima me ne darà comunicazione (forse in modo solo implicito, smettendo di accreditarmi lo stipendio). Non che io abbia mai avuto rapporti conviviali con l’ateno per il quale lavoro da 11 anni, ma una piccola accelerazione mi sembra ci sia stata nell’ultimo anno: un’interrogazione parlamentare per “le mie attività sovversive” (parole di Grimoldi – Lega nord), un mio libro sull’università baronale bloccato a 10 giorni dall’uscita (editore Carocci), l’esclusione da tutti gli insegnamenti da parte del Consiglio di facoltà e ora la richiesta di sospensione dal servizio. Cari leghisti e baroni universitari: se vi incazzate tanto, avrete pure i vostri buoni motivi. Farò il possibile per non deludervi. A pugno chiuso”

 

Collettivo Autorganizzato Universitario – Collettivo BreakOut Architettura – Coordinamento II Policlinico

Assemblea Pubblica al Pascale

La sanità in Campania è allo stremo. Da decenni sottoposti a commissariamenti per “tagliare gli sprechi”, Ospedali, ASL, IRCCS e Policlinici si sono visti sottrarre le risorse necessarie alle loro attività, e, talvolta al mantenimento dei Livelli Essenziali di Assistenza. Il Piano di rientro dal eficit del “supercommissario” Caldoro, varato di recente e approvato con un’intesa virtuale tra ministeri e regione, non contiene nessuna copertura finanziaria, utile a garantire ai cittadini il diritto alle cure presso gli enti pubblici.

 

A Napoli la situazione dei servizi sanitari territoriali è insostenibile, e attraversa ogni quartiere, distretto, presidio. L’utenza, esasperata, protesta contro la mancanza d’igiene in molti reparti accade al Cardarelli, al Loreto Mare, al Vecchi Pellegrini), scende in piazza per opporsi alla chiusura del pronto soccorso (Ospedale San Gennaro) o li occupa per la chiusura degli ambulatori (distretto 42). Una negazione di fatto della tutela alla salute, e, come se non bastasse le istituzioni aumentano i ticket da 50 € (prima visita) e 25 € (seconda), e si introduce il “contributo di solidarietà” di 10 euro per i non-esenti e 5 per gli esenti (disoccupati e familiari sotto 800 € mensili, pensionati con il minimo, nucleo familiare sotto 1000 €), un “prelievo forzato” per pagare un debito contratto da un sistema malato, che non tiene più conto dello stato sociale, dove fanno affare solo le lobbies della “fabbrica della salute”.

Un modello sanitario di aziendalizzazione che parte da lontano, che non risparmia nemmeno gli atenei, trasformati in università-esamificio, dove gli studenti per la formazione sono costretti a pagare tasse sempre più onerose.

La condizione più disperata la vivono le persone colpite da patologie tumorali, cresciute esponenzialmente nella nostra regione negli ultimi anni, grazie ad una politica sui rifiuti fatta di discariche, inceneritori, e inquinamento. Aumento delle liste di attesa, specie nell’area oncologica, dove dovrebbe valere il criterio dell’emergenza.

All’Istituto Nazionale per la cura dei tumori “Fondazione Pascale” da luglio scorso non si eseguono più terapie alle pazienti affette da tumori alla mammella, addirittura è di questi giorni la notizia dello smantellamento di quasi tutto il reparto di Radioterapia. Vari impianti (tac, simulatore) fondamentali, per la cura dei tumori, sono fermi da tempo.

Alcuni dirigenti dell’Istituto, a seguito di contestazioni del personale e della cittadinanza attiva, si sono convinti a tenere aperto almeno uno degli impianti di radioterapia destinati a chiudere. L’unico a opporsi sembra essere il direttore del dipartimento, Paolo Muto, che, da testimonianze di alcune pazienti, pare le stia invitando a rivolgersi verso cliniche private. Un chiaro conflitto d’interesse, visto che il prof. Muto è socio di una catena di centri radioterapici sparsi in tutta la regione. I lavoratori sono stati posti in mobilità, altri rischiano concretamente di essere licenziati.

Ci hanno raccontato che la crisi sarebbe stata passeggera, che sopportando sacrifici necessari “per il bene del paese” l’avremmo superata. Invece la crisi è esplosa, facendo saltare quello che era un governo fantoccio. Ora la BCE (Banca Centrale Europea) impone i suoi diktat, che la casta politica si prepara a eseguire, individuando un economista, Mario Monti (già commissario europeo), quale esecutore di quelle politiche di austerità che sottrarranno diritti conquistati grazie alle lotte degli anni passati, dando mano libera alle privatizzazioni, ai licenziamenti, a pensioni, istruzione.

 Stavolta non saremo noi a pagare il conto. 

Le nostre vite valgono più dei loro profitti.

Movimento di lotta per la salute pubblica

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evento facebook:  http://www.facebook.com/event.php?eid=187288378023803

 

 

 

 

La biblioteca es nuestra!

Qualche riflessione del Coordinamento II Policlinico sulla rivendicazione della biblioteca

L’assemblea che si è tenuta con tutti/e gli studenti/esse del II Policlinico, che da lì si sono mossi in corteo fino alla Presidenza, è un’esemplare dimostrazione di come la politica fatta dal basso e attraverso l’unione di tutto il corpo studentesco possa dare importanti risultati.

La biblioteca del Policlinico è chiusa dall’inizio dell’anno accademico per mancanza di personale, in entrambe le sue sedi.

Fino a ieri, nonostante più volte si fosse chiesto, attraverso le vie istituzionali (ovvero tramite i rappresentanti degli studenti) a preside, presidente di polo e allo stesso rettore di intervenire, nulla si era mosso, con il consueto scarica-barile, magari addolcito da una lacrimuccia sui tagli governativi (non si capisce – o meglio si capisce benissimo –  perché poi questi stessi che non si stancano di professarsi contro lo smantellamento dell’istruzione pubblica poi non si facciano mai sentire nelle sedi dove avrebbero gran voce in capitolo…).

Qualcosa però si è mosso, e nella mattinata di ieri un centinaio di studenti, al termine di un’assemblea, ha occupato gli spazi della presidenza, determinati a non lasciarli fino a che il preside non avesse fornito delle risposte che non fossero il solito “vedremo”. L’atteggiamento del preside è stato dal principio di totale indifferenza e arroganza: non ha acconsentito a ricevere nessuno finché i cori di protesta  non gli hanno impedito di proseguire la propria riunione, ed il suo atteggiamento una volta ricevuta la delegazione si è mostrato sprezzante e per nulla disposto a prendere in seria considerazione i problemi degli studenti, insistendo che non fossero argomenti di sua competenza, fin quando la massa di studenti all’esterno della presidenza non l’ha incalzato ad uscire per confrontarsi direttamente con loro. A quel punto, il suo atteggiamento è mutato radicalmente ed ha provveduto a chiamare la direttrice amministrativa per l’assegnazione di un dipendente alla nostra biblioteca.

Ha inoltre promesso, dinanzi a tutti gli studenti, che la biblioteca riaprirà entrò e non oltre il 15 di novembre, senza peraltro risparmiarsi, anche stavolta, il consueto modo di fare strafottente e “cammoristico”, con minacce di ritorsioni e bocciature che sinceramente facevano ridere lui solo. Vigileremo affinché queste promesse non cadano nel vuoto.

La rivendicazione della biblioteca non è che il primo passo!

Lo distruzione del diritto allo studio, l’aumento delle tasse, la riduzione di tutti i servizi universitari (mense, biblioteche ,CUS , alloggi  e borse di studio) sono il frutto di un processo lento e progressivo, dettato dall’ Unione Europea,  che con le varie “riforme”, iniziate decenni fa, ha aggravato e aggraverà ancora le già precarie condizioni di vita degli studenti e delle famiglie italiane.

I tagli che ,dal 2008 al 2013, stanno interessando l’università si aggirano intorno al a cifre esorbitanti: -47.5 milioni (-51.80%) al fondo ordinario di finanziamento ,-74,61 milioni (-49.09%) alle risorse per il Diritto allo studio, -5.83 milioni (-52.03%) al CUS.

Grazie alla legge 133 del 2008, che da quest’anno è in vigore a pieno regime, ci ritroviamo anche la scomparsa delle facoltà, l’accorpamento dei poli, la riduzione del numero di corsi di laurea (chiaramente stanno scomparendo quelli che dal punto di vista produttivo non sono spendibili sul mercato) e l’ingresso dei privati nei Cda dell’università.

La privatizzazione di un bene collettivo  come l’istruzione avrà, già nel breve periodo, gravissime conseguenze: cdl con esami iperspecialistici (per cui lo studente potrà solo ed esclusivamente entrare a lavorare in quella azienda che ha sovvenzionato l’università e non in altre per la frammentaria conoscenza), aumento della facoltà a numero chiuso (le quali negano completamente la possibilità agli studenti di potersi iscrivere all’università qualora non entrassero nella facoltà d’interesse oppure, ancor peggio, per l’impossibilità di pagare gli esorbitanti bollettini di iscrizione ai test a numero chiuso), la ricerca non sarà più libera (ovvero la ricerca non sarà più scevra dalle regole del mercato per cui verrà indirizzata solo ed esclusivamente verso prodotti commerciabili), aumento di stage e tirocini pre- e post-laurea (che non sono formativi ma  riducono  lo studente a mera manodopera a costo zero per le aziende/laboratori dove si viene assegnati).

Tutto questo è il futuro che ci aspetta!

Questa situazione  può essere frenata solo con la lotta in difesa  dell’università, se cioè tutti noi decideremo, come abbiamo fatto per la biblioteca, di non lasciare che i nostri diritti ci vengano sottratti. Facciamo sentire la nostra voce, senza soggezione,  a chi tenta di rendere il nostro percorso, di studi prima e di inserimento nel mondo del lavoro poi, una corsa ad ostacoli in cui chi non dispone di ingenti risorse economiche è costretto ad affrontare sacrifici sempre maggiori per sperare di arrivare al traguardo.

E’ stato bello vedere l’aula grande piena di studenti, per una volta non  affaccendati a prendere spasmodicamente appunti  per poi correre a studiare, ma per guardarsi negli occhi e confrontarsi sui nostri problemi da pari a pari. Sarebbe ancor più bello se momenti come questo non restassero il ricordo di un unico giorno, ma si ripetessero e diventassero parte del nostro vivere l’università, come persone e non soltanto come numeri di matricola.

Solo attraverso la partecipazione attiva possiamo cominciare a cambiare la nostra università, rendendola più giusta e migliore, già da adesso.

Fare l’università non deve essere un’impresa!


Leggi il comunicato comune biblioteca scritto dagli Studenti del Policlinico

Scarica il nostro documento sui tagli all’università

Alcune riflessioni sul 15 Ottobre

 

Descrivere, senza alcuna superficialità o malafede, quello che è stato il 15 Ottobre richiede necessariamente uno sforzo di ragionamento. Occorre andare al di là delle prime impressioni, e tentare di essere quanto più oggettivi possibile. Abbiamo cercato di portare un contributo all’analisi degli eventi, pur consapevoli che queste valutazioni resteranno parziali e che probabilmente soltanto nei mesi a venire comprenderemo realmente la portata e le conseguenze degli avvenimenti appena trascorsi.

2+2=5 (George Orwell)

 Chi ha vissuto il 15 Ottobre solo dalle notizie veicolate dai media istituzionali, ne riceve un quadro già prestabilito: è una visione che è già narrazione, e come tale pretende di spiegare e valutare, dando degli eventi un quadro netto e delineato in cui sia facile e funzionale additare i “cattivi”. Ma le cose non sono mai così semplici, e viene da chiedersi a chi convenga presentarle in questa veste.

 Da destra e da sinistra, la condanna è unanime! I toni sono apocalittici: dall’evocazione di un “nuovo pericolo terrorismo”, alla riesumazione della sempre efficace e semplicistica etichetta di “black bloc”, alle operazioni francamente nauseanti dei giornali della cosiddetta sinistra istituzionale, con Repubblica in prima fila, in una vera e propria “caccia alle streghe” da sacrificare in pubblica piazza, e che “impone” una presunta empatia tra manifestanti e poliziotti, le cui vere “carezze” conosciamo bene. Il clima in questi giorni è realmente Orwelliano: mistificazione della realtà, proposte che annientano la libertà di manifestare ed inviti bipartisan alla delazione, alla denuncia dei “diversi”, di chiunque, cioè, manifesti la propria “indignazione” al di fuori dei confini prestabiliti dal sistema stesso che si intende rovesciare.

Tutti vedono la violenza del fiume in piena. Nessuno vede la violenza degli argini che lo costringono” (Bertolt Brecht)

Chi sono i ”violenti”? La potenza evocativa delle immagini di devastazioni e incendi non sembra lasciare spazio a dubbi. E’ la violenza incontenibile del fiume in piena. Ma quali argini l’hanno costretta sinora, fino a farla esplodere in maniera così devastante? E’ la violenza non raccontata dell’intero sistema capitalista, che si abbatte quotidianamente con brutalità sulle nostre vite e soffoca aspirazioni, speranze, sogni: la vita precaria, la competizione esasperata, la corsa infinita verso successo e consumo, la miseria degli esclusi e degli emarginati, il controllo sociale, le morti sul lavoro (quasi 1000 dall’inizio del 2011 ad oggi!) : è un bollettino di guerra.

Il fatto che questo sia un mondo in cui l’unica prospettiva possibile è la mera sopravvivenza ci impedisce di percepire la realtà di sopruso incessante in cui viviamo. L’unico ruolo concesso è quello della vittima inerme: solidarizziamo con le migranti bambine costrette a prostituirsi, con gli operai licenziati che non riescono a tirare avanti, con le mamme anti-discarica pestate dalla polizia, ma non appena la vittima osa opporsi alla sua condizione di sfruttato, sollevandosi contro gli oppressori, allora diventa un criminale.

Tra i “teppisti” del 15 ottobre, anche i telegiornali di regime sono costretti in questi giorni a riconoscerlo, ci sono giovani e giovanissimi studenti, lavoratori precari che non fanno parte di alcuna organizzazione e che hanno come unico comune denominatore quello di non avere un futuro e quindi di non avere più nulla da perdere.

Non bisogna, quindi, assolutamente dirsi contrari alla violenza in ogni caso, ma capire che la “violenza cieca” delle masse è legittimata quando viene canalizzata verso l’obiettivo rivoluzionario. Obiettivo che si realizza solo dopo aver preso coscienza della propria condizione ed aver individuato la causa che l’ha generata.

Violenza che, a quel punto, non è più lecito chiamar tale, ma sarebbe meglio dire “resistenza”. Come è resistenza la lotta dei NO-TAV in Val di Susa, che si è provato ripetutamente a criminalizzare, senza riuscirci e che ora, come lasciano presagire le finte interviste di repubblica, si tenterà nuovamente di infangare!

Non ci sorprende, a differenza di altri, che la manifestazione di Roma, essendo la più partecipata d’Europa, fosse anche la più conflittuale. Da un lato la peculiarità italiana è stata proprio questa, l’essere riusciti a portare in piazza uno spaccato della massa, della gente reale, quella non militante e che non appartiene a strutture organizzate, quella, per intenderci, senza ideologie e senza bandiere (come spiegare altrimenti questi numeri?). Ma c’è dell’altro. L’Italia in questo momento si trova nell’occhio del ciclone, pronta a subire le stesse “cure” imposte dalla Banca Centrale Europea ad altri paesi, come la Grecia, che proprio mentre scriviamo è scesa nuovamente in piazza, in maniera partecipata e radicale, assaltando il parlamento, dopo aver dichiarato uno sciopero generale di 48 ore.

Le manovre di austerity imposte dalla BCE e sostenute dai politici di destra e sinistra di tutta Europa, si declinano stato per stato nelle manovre finanziarie e nelle “riforme” più dure degli ultimi trent’anni. Tali manovre, varate in nome di una crisi che ci viene presentata come temporanea, ma che noi sappiamo essere strutturale del sistema capitalistico, hanno condotto e conducono allo smantellamento del welfare e dei diritti fondamentali del lavoro, facendo scivolare fette sempre più ampie della popolazione verso un futuro di miseria e sfruttamento, a vantaggio del profitto di pochi.

Era quindi automatico e chiaro ai più, in primis ai politici che oggi si fingono sorpresi, che quello che è successo a Roma sarebbe accaduto, come era già capitato in passato ed in altri Paesi. La manifestazione di Roma è stata, quindi, solo questo: non più la semplice percezione di un mutamento storico, ma il netto rifiuto a pagarne ancora una volta il prezzo.

Inutile, dunque, parlare di anomalia italiana rispetto alle altre manifestazioni europee, inutile parlare di paradosso: “la più partecipata ma la più violenta”. Noi pensiamo che le due cose siano andate di pari passo, perché hanno la stessa causa (l’acuirsi della condizione di futuro “precario”) e che la specificità italiana (con le tre manovre finanziarie di quest’anno) abbia solo fatto da benzina ad una miccia già accesa, che a guardar vicino ha bruciato già nel 14 dicembre scorso (dove la protesta in larga parte giovanile pure sfociò in manifestazioni simili di rabbia).

Allora perché costruire una spaccatura tra manifestanti “buoni” e “cattivi”?

Le manifestazioni non sono mai servite a niente, altrimenti non le autorizzeremo mai” (J. Saramago)

La repressione dello stato risponde al nostro compagno Saramago. Leggiamo sulle principali testate che a seguito dei fatti del 15 ottobre sono vietati i cortei (in Val di Susa come nella capitale). Bene, facciamo paura. Questo ci fa piacere. Strano che facciamo paura, se per i principali media siamo qualche decina, al massimo qualche centinaia. Eppure provvedimenti di tale portata reazionaria sarebbero giustificati solo di fronte ad un esercito nemico, di fronte alla più inferocita massa di disperati infiammata di rabbia. Soprattutto sarebbero giustificati (seguendo Saramago) se le manifestazioni cominciassero a suscitare l’impressione al “potere” di un rischio vero. Non dunque la solita sfilata di carnevale coi carri e la gente che ride, che fa festa, contenta di essere dalla parte del giusto e di poterlo gridare, ma uomini e donne, a migliaia, decisi ad ottenere giustizia con ogni mezzo e a qualsiasi costo, per il semplice, banale fatto di non aver nulla da perdere.

Ben inteso, questo non è quello che è accaduto il 15. Quello è solo l’inizio. Da una parte bisogna partire.

Da quelle migliaia di persone (in maggioranza giovani) che erano lì a lottare. D’altra parte bisogna pur sapere che la reazione dell’apparato repressivo indica la via: hanno molta più paura di quello che possiamo essere, che di quello che siamo e siamo stati.

  “La speranza è una trappola inventata dai padroni, quelli che ti dicono «state buoni, zitti, pregate, che avrete il vostro riscatto, la vostra ricompensa nell’aldilà, perciò adesso state buoni, tornate a casa – sì, siete dei precari, ma tanto fra 2-3 mesi vi assumiamo ancora, vi daremo un posto. State buoni, abbiate speranza». Mai avere la speranza. La speranza è una trappola, è una cosa infame, inventata da chi comanda.

Come finisce questo film? Non lo so. Io spero che finisca con quello che in Italia non c’è mai stato: una bella botta, una bella rivoluzione.”

(M. Monicelli)

Siamo d’accordo con Rinaldini: il corteo del 15 è uno spartiacque. Ma noi ora sappiamo lui da che parte sta. Non con l’avversario politico, non con l’opposizione, ma col nemico. Non consideriamo avversario chi uccide 4 lavoratori al giorno – che Rinaldini avrebbe il dovere di salvare ma che evidentemente non riesce- non consideriamo avversario chi tiene a lavorare giovani a 600 euro al mese 10 ore al giorno, chi gioca con la contrattazione nazionale al ribasso, chi chiama “falliti” i ricercatori e “mammoni” i disoccupati, chi taglia le nostre pensioni (che non sono stato sociale ma salario differito!), chi aumenta le tasse al consumo e aumenta le spese sanitarie, distrugge il minimo diritto allo studio.

Per noi sono finiti i margini della contrattazione e della speranza.

Qui non è la struttura che scrive. Milioni di lavoratori non iscritti a un sindacato (prima di tutto i precari sotto ricatto), di disoccupati vecchi e nuovi, di migranti con o senza permesso di soggiorno, sanno che la contrattazione e le sfilate pacifiche non servono a nulla.

Dai giovani studenti, fino ai quarantenni anch’essi senza più speranza, sono in molti a non biasimare affatto la violenza, ma anzi rivendicarla, per ora anche solo a parole. Ci si rende conto che proprio grazie a quelli come Rinaldini in poco più di vent’anni a loro non è rimasto niente, e qualcuno ricorda che il sindacato che Rinaldini rappresenta era la più potente organizzazione sindacale del mondo occidentale.

Bel lavoro compagno! È questo quello che ti hanno voluto dire le masse a piazza San Giovanni, ascoltarle sarebbe il minimo, invece di additarli semplicemente come pazzi, teppisti, violenti.

Ma ci siamo proposti di essere oggettivi, ed è quindi giusto sottolineare la composizione del corteo di Roma. Molte persone non solo erano estranee alle violenze, ma effettivamente ne contestavano la legittimità, nei casi peggiori, comportandosi da repressori, fianco a fianco con la polizia (per intenderci, la stessa che ha ucciso a Genova Carlo Giuliani, a Ferrara Federico Aldrovandi, e Stefano Cucchi nella capitale proprio tra il 15 e il 16 ottobre, ma la lista sarebbe molto più lunga). Bene. Bravi questi qui, le persone per bene.

Queste persone, quelle “per bene”, sono anch’esse una massa eterogenea: da una parte, chi in malafede, aveva da strappare al corteo il proprio piccolo interesse, in termini di contrattazione elettorale, e dall’altra i molti, che ancora hanno qualche speranza, ma credono ingenuamente che questa possa arrivare dalle istituzioni. A questi ultimi ci interessa rivolgerci, perché sappiamo essere dalla nostra stessa parte, se solo vorranno fare un passo indietro ed osservare senza pregiudizi chi siamo ed essere disposti a dialogare con noi.

Chiediamo solo che si faccia chiarezza in modo pubblico e che ci si smarchi, eventualmente si faccia autocritica. È necessario sapere, oggi più che mai, da quale lato della barricata sta ognuno.

A chi conviene la “caccia alle streghe”?

A chi voleva, anche tra i movimenti, che la manifestazione fosse una sfilata e finisse con un comizio per lanciare nuove alleanze elettorali.

A chi esalta le primavere arabe in cui i leader di regime sono stati rovesciati da piazze armate ma si scandalizza per un sampietrino.

A chi già sa che gli effetti delle manovre finanziarie nei prossimi mesi aumenteranno ancora il divario tra i detentori di ricchezza privata e l’esercito di senza-futuro, inasprendo il conflitto sociale ed invoca già, per questo, misure restrittive che permettano di soffocare sul nascere ogni sussulto di dissenso.

A chi non vuole una reale trasformazione della società, ma vuole che tutto cambi affinché tutto resti uguale.

PACE SOCIALE VINCE IL CAPITALE. LOTTA DI CLASSE VINCONO LE MASSE

Coor2Pol

Analisi dei collettivi universitari sulle manovre finanziarie 2011

“O che i borghesi non rubano,forse? (…)quando ho portato via questo pane, a Maigrat, era indubbiamente un pane che ci doveva.”
(Emile Zola, Germinal)

Siamo in caduta libera…

“Stringere la cinghia per il bene del Paese” è il ritornello degli ultimi mesi.
Con questa lagna nelle orecchie abbiamo subito l’avvicendarsi di due feroci manovre finanziarie: tagli orizzontali alle pensioni, all’istruzione, alla sanità e ai trasporti pubblici. E per non farsi mancare niente, anche l’aumento dell’iva di un punto percentuale. Tutto ciò in un clima generale che ci invita al consumo, mentre stabilimenti cardine per l’economia italiana vengono delocalizzati  e il lavoro subisce un continuo deprezzamento.   
Intanto  negli ultimi trent’anni, mentre questa scure si posizionava sulle nostre teste, l’iper-finanziarizzazione dell’economia è venuta in soccorso all’allargamento dei mercati  provocando un generale abbassamento del potere d’acquisto e  garantendo il progressivo aumento dei profitti sulla base della disuguaglianza sociale.
Stiamo assistendo all’inesorabile deflagrazione della Grecia e molto probabilmente del Unione  Europea. Tutti i governi gridano ai piani di salvataggio e al ripianamento del debito pubblico.
La crisi, in una economia iper-finanziarizzata come questa, affondando i propri fendenti nei fianchi dei fanalini di coda dell’UE, ne ha colpito anche il cuore. I provvedimenti che vengono presi nei vari paesi sono pressoché gli stessi, solo con sfumature diverse. L’obiettivo comune è quello di abbattere i costi del lavoro e privarci di tutti quei servizi che di solito associamo all’aggettivo “pubblico”. E così di “pubblico” resta solo il debito!
L’Europa delle due velocità è arrivata al primo pit-stop (se non al termine della corsa). Germania e Francia, le cui economie storicamente hanno fatto da traino a tutti gli altri paesi membri, subiscono la loro prima battuta d’arresto, e con loro  tutta l’ Unione.
Lungi dal perseguire l’integrazione dei popoli, l’UE  rappresenta organicamente gli interessi dei grandi banchieri e dei grandi  capitali in seno alla BCE(Banca Centrale Europea) , la cui ingerenza sulle politiche economiche costituisce un vero e proprio commissariamento di alcuni  stati membri.
Eppure ci avevano raccontato la storiella che la crisi scoppiata nel 2007 era tutta colpa di singoli azzardi speculativi, di pescecani del mercato avventuratisi  in investimenti senza copertura, di trader disonesti e di banchieri senza etica e che, risolte queste  piccole degenerazioni di un sistema che “tutto sommato funziona”, ne saremo usciti illesi.
Ci stavano prendendo in giro! Non solo la crisi non è mai finita, ma per  noi  (studenti, lavoratori, precari, disoccupati, immigrati)  è cominciata molto prima del 2007, attraverso una serie di provvedimenti che negli ultimi trent’anni hanno visto scivolare fette sempre più ampie  della popolazione verso questo presente, fatto di feroce sfruttamento e miseria.
La verità è che la crisi non è una momentanea paralisi, ma un processo, una fase ciclica del capitalismo che funge da volano per una  ristrutturazione del sistema economico  e per un riequilibrio dei pesi a livello globale, il cui vero intento è l’ulteriore ridistribuzione del reddito dal basso verso l’alto.
E’ la storia di una società che precipita e che, mentre sta precipitando, si ripete per farsi coraggio: “Fino a qui tutto bene! Fino a qui tutto bene! Fino a qui tutto bene!”. Così, ad ogni sconfitta collettiva,  qualcuno continua a ripeterci che bisogna fare sacrifici tutti assieme per superare il momento, che la crisi è passeggera e che fin qui tutto bene. E noi gli crediamo. Ma il problema non è la caduta, è l’ atterraggio!

…e lo schianto è stato più fragoroso che mai!

Così tra un attacco speculativo, un declassamento da parte di qualche agenzia di rating e tanti inviti a fare ‘sti benedetti sacrifici siamo arrivati all’apice della crisi. Ma le cose sono state così veloci (soprattutto negli ultimi tempi ) che si rischia di non capirci più niente in quest’escalation.
Tentiamo di riprenderne le fila. Nel  biennio 2008 -2009 gli stati hanno speso ingenti risorse pubbliche per risanare i bilanci delle banche, le quali hanno accumulato debiti a causa di prestiti che non avevano un’adeguata copertura. La tempesta finanziaria si è abbattuta in maniera particolare su Italia, Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda (i cosiddetti PIIGS), perché detentori dei più alti debiti pubblici. La natura ricattatoria del debito pubblico è dimostrata dalle politiche di austerità imposte dai  governi locali alla cara vecchia classe lavoratrice, che vengono spacciate per risolutrici, ma che in realtà hanno l’effetto di incrementare il debito stesso.

Un paio  di considerazioni sulle soluzioni che ci vengono proposte:

a) La crescita. Questo è un tema che sembra trovare tutti d’accordo, ad invocare i provvedimenti per la crescita infatti sono la Marcegaglia, Montezemolo, Della Valle (che ultimamente ha addirittura comprato le pagine di alcuni giornali per criticare l’operato del governo) come portavoce dei grandi capitali italiani, ma anche la Camusso segretaria della CGIL, il solito PD e l’immancabile Giorgio Napolitano. Tutti irreprensibilmente in linea con Trichet e Draghi e quindi con il programma dell’UE.
Ma cosa si cela dietro questo furbesco richiamo alla modernizzazione? Nient’altro che la ricetta del grande capitale: portare a compimento quel processo di privatizzazioni dei servizi sociali che è ormai in atto da anni rendendo profittevoli quei settori come sanità e trasporti che non dovranno più rispondere all’interesse collettivo, ma alle logiche aziendali; rendere accessibile il mondo della formazione solamente ai più “meritevoli” o meglio a i più danarosi, finanziando si la ricerca, ma solo quella improntata a scaricare i costi delle aziende; rendere ancora più flessibile il mercato del lavoro soprattutto in uscita affermando l’unica libertà di cui i padroni si fanno promotori, quella di licenziamento;

b) Il consenso. E’ chiaro che, se i ragionamenti che ci siamo fatti fin ora filano (e purtroppo la realtà ci dimostra che filano), tutti i governi indipendentemente dal colore delle coalizioni in carica sono costretti al utilizzare la stessa pozione anti-crisi, i cui ingredienti principali sono le ormai tanto famose lacrime ed il tanto famoso sangue della classe lavoratrice. Ed è altrettanto chiaro che queste coalizioni o forse è meglio chiamarle blocchi di potere, per intenderci, stanno perdendo anche se con percentuali diverse il consenso di cui godevano precedentemente. Non solo il greco Papandreu e lo spagnolo Zapatero non vedranno la prossima legislatura, ma addirittura la cancelliera di ferro, la Merkel ed il democratico guerrafondaio Obama vengono dati in discesa da sondaggi e proiezioni. Ed anche in Italia si ricomincia a sentire la solita cantilena di quelli che vogliono scalzare Berlusconi come se fosse  il nostro unico problema. Chi propone questa soluzione nel migliore dei casi non ha colto vastità e portata della crisi di quello che, con un fine espediente retorico, i giornalisti chiamano “mercato”. Che sia verde, blu, arcobaleno o a pallini  anche il governo che verrà sarà costretto ad assumere i provvedimenti che il suddetto “mercato” gli indica.

Ma allora qual è la soluzione?

Unica soluzione: organizzazione

È proprio quando le ginocchia sembrano cedere sotto il peso degli attacchi che ci vengono portati bipartisan da destra e da sinistra, da imprenditori e sindacati, da UE,  governi e  amministrazioni locali, è proprio quando sembra che siamo destinati a onorare debiti che non abbiamo contratto, e  non volevamo contrarre, in preda ad una coatta sindrome di Stoccolma, che ci vede costretti a salvare il nostro aguzzino,  che riscopriamo la nostra grande risorsa. La responsabilità.
La responsabilità di proporre l’ unica soluzione possibile, quella di dirsi “irresponsabili” di questa crisi e, quindi non tenuti a pagarla. Ma come? Ricominciando a pretendere tutto, costringendo chi i debiti li ha contratti e di sacrifici non ne ha mai fatti, a pagare tutto. Con l’obiettivo di invertire il trend che ci hanno proposto, puntando ad una redistribuzione del reddito in termini di salari e servizi sociali dall’alto verso il basso.

Ma come metterli con le spalle al muro costringendoli a pagare davvero questa crisi? L’unica via possibile, perché già battuta in precedenza e con esiti positivi, è quella della lotta. Ma il morale dei soggetti in lotta, in questi anni di estenuanti e difficili battaglie, si è comprensibilmente abbassato, mentre attorno a noi quelle che sembravano (poche) certezze, si sgretolano sempre più sotto il peso dei colpi della lotta di classe all’incontrario: quella che da 30 anni a questa parte i padroni conducono contro di noi per riprendersi con gl’interessi tutto quello che avevamo strappato! Il punto è che non sta nella quantità delle battaglie che si ingaggiano l’esito positivo della lotta, ma bensì nella loro qualità. Con qualità ci riferiamo alla nostra capacità di sviluppare organizzazione e forme di coordinamento reali, che siano in grado di mettere in pratica quello che da anni urliamo nelle piazze: unità delle lotte. Unità di tutti quei soggetti realmente interessati al cambiamento dello stato di cose attuale, in quanto ormai siamo tutti sempre più convinti (dal popolo americano che assedia Wall Street alle piazze europee, arabe ed asiatiche) della necessità di costruire un’alternativa a questo sistema che non è solo in crisi, ma che è esso stesso la crisi!

NON CI LASCEREMO MANOVRARE!
THE POWER OF PEOPLE IS STRONGER THAN THE PEOPLE IN POWER!

Fascisti, carogne, tornate nelle fogne!

Oggi, 10 ottobre, un gruppuscolo di neo-fascisti appartenenti al Blocco Studentesco era fuori la facoltà di Giurisprudenza a volantinare, armato di caschi e mazze.

Polizia e carabinieri, come sempre, scortavano i fascisti, che si sono spostati alla sede di via Marina: quihanno bersagliato le/i compagne/i con sassi, bottiglie ed oggetti di vario tipo presi dal marciapiedetotalmente indisturbati, ma, anzi, coadiuvati dai “tutori dell’ordine”, disposti a scudo su più file per proteggerli.

Nella sassaiola sono rimaste ferite due ragazze, di cui una trasportata in ospedale.

Successivamente, come se non bastasse, la polizia ha caricato le/i compagne/i, ferendone molte/i con manganellate mirate alla testa.

Questi immondi relitti di un passato con cui i conti non sono ancora chiusi, che ancora riesumano slogans e simboli inneggianti all’odio razziale e alla subordinazione femminile, non avrebbero alcuna credibilità nelle nostre facoltà se non rappresentassero il più basso gradino di un sistema che cerca di riportare indietro le lancette della Storia: Blocco Studentesco e Casapound sono l’infima manovalanza di un’élite che quotidianamente mira a distruggere le conquiste dei lavoratori e degli studenti, aumentando la distanza tra chi detiene ogni privilegio e chi passerà la vita tra impieghi precari e disoccupazione.

Dietro i topi di fogna in camicia nera ci sono i “tutori dell’ordine”, nel senso che obbedirebbero a qualsiasi ordine, anche quello di manganellare, rinchiudere e qualche volta anche ammazzare un manifestante, e a dare loro le disposizioni sono i fascisti in doppiopetto, i banchieri e gli industriali che hanno creato la crisi e che tramite i loro burattini, che siano di destra, di sinistra o “tecnici” che siedono in Parlamento vorrebbero farcela pagare, togliendoci tutto quel che ancora ci è rimasto e privandoci del nostro futuro.

Combattere il fascismo nelle strade, nelle scuole, nelle università oggi significa identificare i mandanti che sono dietro questi topi di fogna, non rimanere passivi dinanzi all’attacco ai nostri diritti.

Contro miseria e oppressione, uniamo le lotte: contro i servi, contro il padrone!

 

Coordinamento II Policlinico

 

Basta neofascisti accoltellatori all’Università!

Questa volta almeno non lasciano spazio a dubbi! Casapound si presenta sotto la facoltà di giurisprudenza (angolo via Marina) con i caschi in testa e con uno striscione che fa giustizia delle tante ipocrisie che loro stessi spargono quando gli conviene: “Contro l’ignoranza Antifascista” è il lungo e grottesco striscione che rivendica per l’ennesima volta la loro identità neofascista di nostalgici del duce e della tirannia. Un segnale che segue di poche settimane l’apertura a Roma, in una loro sede, della prima sezione italiana del famigerato “Blood & Honour” la formazione neonazista, estremamente violenta e razzista originaria dell’Inghilterra. E che forse rappresenta un ulteriore salto “dell’esperimento Casapound” nell’ambito delle formazioni di estrema destra, come conferma forse per l’ennesima volta la presenza al loro fianco di alcuni cinquantenni che richiamano ad altre stagioni drammatiche della destra eversiva e stragista in italia. 

In un mondo normale sarebbe quanto meno paradossale e inaccettabile che proprio davanti la facoltà di giurisprudenza si contesti l’antifascismo che è parte fondativa della carta Costituzionale di questo paese (che vieta la ricostituzione del partito fascista nella dodicesima disposizione transitoria e finale) e che è stato pagato col sangue di centinaia di migliaia di italiani. Siamo molto curiosi di sapere cosa pensano di tutto questo il Preside della facoltà di giurisprudenza e il Rettore dell’Università Federico II !!

Erano una quindicina stamani, con caschi e mazze, eppure accompagnati e tutelati da almeno due reparti celere (malgrado appunto l’apologia del fascismo e la rivendicazione della tirannia non sarebbero tra le manifestazioni consentite dalla Costituzione della Repubblica). Tra loro anche gli accoltellatori dell’agguato di maggio ai danni degli studenti di Lettere, che è li affianco. Ovvio che la tensione sia immediatamente salita. E’ partito un tam tam tra gli studenti che erano all’Università e in una ventina di minuti si è formato un presidio di oltre un centinaio di persone che ha contestato questo sconcio finchè i neofascisti non sono stati costretti ad andar via. Il presidio si è poi trasformato in un breve corteo per la zona universitaria per denunciare l’accaduto.
Ci pare molto preoccupante del resto che neonazisti e neofascisti riaprano la stagione delle provocazioni quando movimenti, studenti, lavoratori e precari si stanno organizzando per rilanciare, a partire dal 15 ottobre, la protesta sociale per la macelleria della finanziaria contro i diritti del lavoro, la scuola, la sanità, i trasporti pubblici.

Rete napoletana contro il neofascismo, il razzismo, il sessism

Appuntamento Martedì 27/09 per discutere della manovra economica!

CRISI, MANOVRA
ECONOMICA?…ovvero tutto quello che avreste
voluto sapere e non avete mai osato chiedere!

Clash city workers e i collettivi universitari

incontrano

Giulio Palermo
ricercatore di Economia Politica ed esperto
economico-finanziario

martedì 27 settembre – ore 16

aula SL1.1 – Facoltà di Architettura – via Forno Vecchio (di fronte cumana
Montesanto)

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locandina

NOI NON
SIAMO IN DEBITO SEMMAI IN CREDITO!

Il primo passo per
cambiare la realtà è dotarsi degli strumenti per comprenderla, imparare a
distinguere i fatti dalla propaganda e farsi un’idea propria su quanto accade
nel mondo.

Crisi economica, speculazioni, spread, borsa, manovra
finanziaria, BCE, BTP… sono parole che ormai da mesi sono entrate con
prepotenza nella nostra quotidianità, cambiando in maniera radicale il nostro
modo di vivere, determinando l’andamento economico del nostro paese (e di molti
altri) mettendo a rischio il nostro futuro. Ma sappiamo davvero cosa vogliano
dire?

Abbiamo gli strumenti per smantellare la retorica dei sacrifici,
dell’“interesse nazionale”, dell’”essere responsabili” e dello “stringere la
cinghia” che i media e i politici ci propinano da mesi?
Il 27 settembre il
collettivo di inchiesta sul lavoro nelle metropoli “Clash City Workers” e i
collettivi universitari incontrano Giulio Palermo – ricercatore di Economia
Politica ed esperto economico-finanziario – per capirne di più e parlare degli
effetti a breve e a lungo termine di questa crisi e di questa manovra
finanziaria sulle vite di tutti noi, per armarci degli strumenti necessari per
prepararci alla mobilitazione ed incendiare questo autunno caldo.