… LIBIA, SIRIA, MALI…

Basta guerre Basta spese militari

Contro l’imperialismo del governo italiano

 

Il  vergognoso “ordine del giorno” del Parlamento italiano che autorizza l’invio di istruttori militari, aerei, finanziamenti e “supporto logistico” per la nuova guerra nel Mali necessita di una pronta mobilitazione contro il ruolo imperialista  del nostro Paese.

Una politica di aggressione che ha già determinato la distruzione della Libia e che si estrinseca oggi anche nell’appoggio diplomatico, militare ed economico ai mercenari che stanno insanguinando la Siria (tra l’altro, quegli stessi “jihadisti” che a febbraio saranno ospitati ufficialmente alla Farnesina e che oggi l’Occidente dichiara di volere combattere in Mali).

Contro questa politica criminale, costellata da distruzioni, morti, crescenti spese militari, assolutamente insufficiente è la mobilitazione dei movimenti che pure si battono contro il governo Monti-Bersani-Alfano-Casini, forse perché, tra questi, (così come è stato ieri per la Libia e oggi per la Siria) c’è ancora chi si illude che dalla distruzione (in un modo o nell’altro) di un qualche “stato canaglia” possa sprigionarsi un’altra “primavera araba”.

E così non pochi hanno chiuso gli occhi sulle infami manovre del nostro governo che ha dapprima rotto le relazioni diplomatiche con Damasco, poi  comminato sanzioni (che hanno gettato nella fame la popolazione siriana), poi riconosciuto ufficialmente i “ribelli” (prima quelli del CNS ora quelli della Coalizione) quali “legittimi rappresentanti del popolo siriano”, poi ha inviato, più o meno nascostamente, soldi, armi e mercenari (come i quattro arrestati ad agosto alla frontiera con il Libano), poi ha negato il visto di ingresso a parlamentari siriani venuti ad incontrare loro colleghi italiani, poi ha spalleggiato la Turchia nelle sue provocazioni ed appoggiato lo schieramento dei Patriot ai confini con la Siria.

A giustificazione della propria indifferenza, se non del proprio appoggio, non pochi continuano a dare credito alle “notizie” di “armi di distruzioni di massa” in mano ad Assad o ai “bombardamenti indiscriminati sulla popolazione” che continuano ad inondare i nostri mass media; ignorando o sottacendo volutamente le ormai centinaia di autobombe fatte esplodere (nei mercati, nelle strade, davanti gli ospedali…) dai “ribelli”, le migliaia di civili inermi assassinati per non essersi schierati contro Assad, le centinaia di migliaia di profughi che scappano dalla guerra e dalla pulizia etnica e religiosa imposta dai “ribelli”.

Non c’è dubbio che Assad, come ieri Gheddafi o Saddam, si è macchiato di crimini verso il proprio popolo, ma i maggiori terroristi e dittatori (del capitale) sono i nostri governanti  che vestendo i panni della difesa della democrazia intervengono con le armi più micidiali non per colpire i regimi o i fondamentalisti islamici, con cui hanno abbondantemente collaborato e collaborano quando gli conviene, bensì per mettere le mani sulle risorse e le massa di proletari di questi Paesi da sfruttare per il loro profitto e, nello stesso tempo, ostacolare una efficace lotta per un cambiamento non subordinato agli interessi occidentali e all’islamismo reazionario.

La lotta contro gli attacchi del governo alle nostre  condizioni di vita e di lavoro e contro i tagli che rendono precaria la nostra stessa sopravvivenza, deve andare di pari passo con l’opposizione alla politica imperialista di distruzione e sfruttamento verso i popoli di questi Paesi.

 

Per discutere su questi punti e rilanciare un movimento contro la guerra, la Rete No War di Napoli, facendo proprio l’appello “Giù le Mani dalla Siria” dell’estate 2012 indice una

 

ASSEMBLEA

Napoli, via Mezzocannone 16,

12 febbraio 2013, ore 16,30

 

Interventi introduttivi:

 

Mostafa El Ayoubi – Caporedattore della rivista “Confronti”

Flavia Lepre – Comitato Pace e Disarmo

In collegamento Skype dalla Siria: Marinella Correggia – giornalista, attivista per la Pace;

Vincenzo Brandi – Rete No War; Gianmarco Pisa – Rete Corpi Civili di Pace

 

Rete No War Napoli                                                “Comitato “Giù le mani dalla Siria”

Comunicato: “ALLARME SON FASCISTI…”. MA LO SAPEVAMO GIA’!

Comunicato
“Non corriamo dietro la “verità” delle inchieste giudiziarie, ci basta quella dei fatti. A Napoli migliaia di persone sanno che Casapound è un’organizzazione nazifascista, come gli oltre 5000 che manifestarono contro la sua apertura già nel 2009!”


Una lunga sequenza di aggressioni fasciste, agguati come quello che portò all’accoltellamento degli studenti universitari fuori la facoltà di Lettere, attentati incendiari come quelli al laboratorio Insurgencia, l’incitazione all’odio razziale o i discorsi sullo stupro di una ragazza perchè “ebrea”…
Conosciamo molti degli avvenimenti citati nelle cronache di oggi, abbiamo fatto a lungo informazione pubblica, mobilitazione e sensibilizzazione politica su questo. Non abbiamo elementi per valutare le accuse sul piano giudiziario e neanche ci interessa. E per coerenza non prendiamo certo per oro colato i teoremi che si rifanno a quell’armamentario dei reati “associativi” partorito dalle leggi emergenziali e che tante volte vengono usati invece contro i movimenti sociali come quelli per la difesa ambientale o contro la precarietà e l’austerity, insieme alle centinaia di denunce e processi cui assistiamo in questo paese contro studenti, disoccupati, lavoratori, militanti, ambientalisti, antirazzisti, antifascisti. Gli stessi magistrati che oggi tengono quest’operazione hanno già tempestato di denunce e processi i movimenti sociali napoletani. Magari per rifugiarsi nella comoda lettura degli “opposti estremismi”, come se fossero la stessa cosa una lotta anche dura alla precarietà, al neofascismo o al razzismo e dall’altra parte il pestaggio di un migrante o un pogrom contro i rom (come è successo recentemente a Giugliano)…

Colpisce invece l’ipocrisia diffusa sui media e nella politica. Qualcuno aveva forse bisogno di questa inchiesta per prendere atto della natura squadrista delle formazioni neofasciste come Casapound e della lunghissima sequenza di atti che ne sono conseguiti a Napoli come in tutta Italia, qualcuno aveva davvero dubbi sulla “pedagogia” razzista e xenofoba che queste formazioni portano avanti (ben incoraggiate in un paese dove è stata al governo persino la Lega Nord…), sulla loro cultura sessista, sul loro ispirarsi apertamente al nazifascismo (il leader nazionale Iannone in pubblica intervista defini Hitler “un rivoluzionario”)…?

Qualcuno pensava forse che Gianluca Casseri, “scrittore d’area” cancellato in fretta e furia dal sito di Casapound dopo che aveva assassinato a freddo dei lavoratori immigrati, fosse un “pazzo isolato” e non già un neofascista cresciuto in questo ambiente?

Di certo noi lo sapevamo già! E lo sapevamo in tantissimi, a partire dalle oltre 5000 persone, studenti, donne, migranti, che contestarono duramente in piazza l’apertura di un centro di Casapound nel quartiere Materdei già nel 2009 e che hanno continuato a farlo fino a impedirlo.
Basta osservare i fatti, gli infiniti episodi di razzismo e di squadrismo che quotidianamente si riproducono in Italia da parte di questi gruppi, basta avere memoria delle trame nere che con la regia dei servizi segreti hanno insanguinato il paese in una storia non certo lontana.
E chissà cosa hanno da dire su questi temi quei personaggi di potere che allevano e proteggono queste formazioni e la loro ideologia, che li sostengono economicamente e politicamente. Per stare in Campania il parlamentare del PDL ed ex missino Laboccetta, l’ex presidente del consiglio provinciale Rispoli e tanti altri.

Abbiamo sempre respinto al mittente, e continueremo a farlo, la costruzione secondo la quale Casa Pound sia un’organizzazione formata da “bravi ragazzi” impegnati nel sociale, così come quella che legge le loro pratiche paragonandole ai movimenti realmente antagonisti, come uno scontro tra “opposti estremismi”. Li abbiamo sempre considerati pedine di un potere più grande e nemico di donne, immigrati, studenti, lavoratori e disoccupati sui cui vengono puntualmente scaricati i costi della crisi e che ogni giorno si mobilitano per cambiare le condizioni di tutti quelli che come loro sono sfruttati e oppressi.
Restiamo convinti che contro il diffondersi di pratiche squadriste e neofasciste, contro le pulsioni xenofobe e sessiste, rimane fondamentale il piano della mobilitazione sociale diretta, del presidio territoriale, l’informazione politica e l’autorganizzazione dal basso prodotte dalle lotte sociali e dai movimenti. Ed è su questi punti che la rete e tutte le realtà che si oppongono al neofascismo, all’autoritarismo, al sessismo e al razzismo devono sentirsi costantemente impegnati e responsabilizzati.


Rete napoletana contro il razzismo, il neofascismo e il sessismo

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Sulla Strage di Piazza Fontana

“E penso al 12 Dicembre ’69:

 lo stato delle stragi, sì, lo stato delle trame…”

99 Posse – Odio

 Tra il 1968 e il 1974 in Italia furono compiuti 140 attentati, tra i quali quello di piazza Fontana fu uno dei più sanguinosi (insieme alla strage di Bologna avvenuta nel 1980).

La strategia del revisionismo storico ha cancellato la memoria di questa strage compiuta dai fascisti e voluta dallo stato italiano. Una data, una strage, molto più che scomoda, che ha mostrato il vero progetto politico della “democrazia” borghese italiana: annientare tutti coloro che lottano per i propri diritti per mantenere lo status quo che salvaguarda la classe dirigente e annienta quella lavoratrice. Questo disegno politico, conosciuto come “strategia della tensione”, è stato messo in atto attraverso stragi e attentati avvenuti in Italia con particolare intensità tra il 1969 e il 1984 con la partecipazione nascosta (o il benestare) di settori dello Stato in azioni terroristiche ai danni del proprio popolo, in particolare nei confronti dei movimenti operai e studenteschi che in quegli anni, grazie alle lotte, ottennero più diritti e servizi pubblici. Questa strategia si è parimenti esplicata e si esplica tutt’oggi nella divisione, manipolazione e controllo dell’opinione pubblica mediante l’uso di paura, propaganda, disinformazione, manovre psicologiche e repressione sociale. La riscrittura della storia serve allo stato borghese per affermare le proprie verità, quelle di chi domina. Il nostro scopo è far conoscere l’effettiva verità, quella degli sfruttati e degli oppressi.

 

La Strage di Piazza Fontana: 12 dicembre 1969

L’esplosione avvenne il 12 dicembre 1969 alle ore 16:37:una bomba scoppiò nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano, uccidendo diciassette persone (quattordici sul colpo) e ferendone altre ottantotto. Le indagini vennero orientate inizialmente nei confronti di tutti i gruppi anarchici; furono fermate per accertamenti circa 80 persone,in particolare alcuni membri del Circolo anarchico 22 Marzo di Roma (tra i quali figura Pietro Valpreda) e del Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa di Milano (tra i quali  Giuseppe Pinelli).

 

In uno di questi interrogatori avvenne la morte del compagno anarchico Pinelli che “precipitò accidentalmente” da una finestra della questura di Milano. Per chiarire le circostanze nelle quali si svolse la morte di Giuseppe Pinelli fu avviata un’inchiesta. La Questura di Milano affermò in un primo tempo che Pinelli si fosse suicidato poiché era stato dimostrato il suo coinvolgimento nella strage, ma questa versione fu smentita nei giorni successivi.

Il fermo di Pinelli era illegale perché egli era stato trattenuto troppo a lungo in questura: il 15 dicembre 1969 (la data della sua morte) egli avrebbe dovuto essere libero, oppure in prigione, ma non in questura. Il fermo di polizia poteva durare, infatti, al massimo due giorni.

In un primo momento lo stesso questore Marcello Guida, l’ex fascista che durante il ventennio fu direttore delle guardie dei carceri di Ventotene (l’isola dove vennero segregati gli anarchici prima di esser trasferiti nel campo di concentramento di Renicci d’Anghiari)e Santo Stefano, dichiarò alla stampa che il “suicidio” di Pinelli era la dimostrazione della sua colpevolezza, ma questa versione fu poi ritrattata quando l’alibi di Pinelli si rivelò credibile. Ad oggi lo stato ha assolto se stesso e il suo esecutore materiale Luigi Calabresi, commissario che interrogò Pinelli, e che fu responsabile della sua morte.

Le indagini e i processi (sette) si susseguiranno nel corso degli anni, con imputazioni a carico dei veri colpevoli: vari esponenti di destra.Tuttavia alla fine tutti gli accusati saranno sempre assolti in sede giudiziaria. Alcuni di questi verranno, peraltro, condannati per altre stragi. Altri si gioveranno della prescrizione.

Alcuni esponenti dei servizi segreti verranno condannati per depistaggi; l’inchiesta del giudice Salvini affacciò anche un’ipotesi di connessione col fallito golpe Borghese (colpo di Stato tentato in Italia durante la notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970  e organizzato da Junio Valerio Borghese, noto fascista, sotto la sigla Fronte Nazionale, in stretto rapporto col ministero della difesa, la polizia e i carabinieri).

 

In 38 anni, non è mai stata emessa una condanna definitiva per la strage, anche se Carlo Digilio, neofascista di Ordine Nuovo, ha confessato il proprio ruolo nella preparazione dell’attentato e ottenuto nel 2000 la prescrizione del reato per il prevalere delle attenuanti riconosciutegli, appunto, per il suo contributo.

Nel 2005 la Corte di Cassazione ha assolto definitivamente gli ultimi indagati (Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni, militanti di Ordine Nuovo condannati in primo grado all’ergastolo) scrivendo però nella sentenza che con le nuove prove – emerse nelle inchieste successive al processo milanese nel 1972 e alla definitiva assoluzione nel 1987 – gli ordinovisti veneti Franco Freda e Giovanni Ventura sarebbero stati entrambi condannati.

 

Il 12 dicembre rappresenta una data importante della Storia, estirpata dalla memoria per costruire un “consenso sociale” attorno ad uno Stato che ancora oggi, come ieri, crea disoccupazione, sfruttamento e malattia e criminalizza chi prova ad opporvisi. Per questo è importante ricordare quello che avvenne. Per questo è importante ricordare chi sono i veri colpevoli e qual’è stato, ed è tuttora, il ruolo di coloro che si definiscono “fascisti”: quello dei servi dei servi del potere.

Il 12 dicembre ce l’ha insegnato:il vero terrorismo è quello dello stato

                                                                                                                  coordinamento II Policlinico

Napolitano… Ccà nisciuno è fesso!!!

Oggi 19 novembre 2012, Napoli è stata ancora una volta teatro di rappresentazioni ideologiche sulla tanto declamata “integrazione europea”, con l’incontro, previsto nel pomeriggio al Palazzo Reale, tra Napolitano e i capi di stato tedesco e polacco. Ancora una passerella istituzionale, ad appena una settimana dalla visita della Fornero e del ministro tedesco von der Leyen del 12 Novembre, giornata in cui un corteo partecipato ha espresso la propria opposizione al tentativo del governo di decidere delle nostre vite.

La contestazione a Napolitano, forte sostenitore delle politiche imperialiste israeliane contro il popolo palestinese, nonché fautore delle politiche liberiste europee che stanno affamando le fasce più deboli della popolazione, si inscrive in una riorganizzazione delle lotte contro i padroni che  in questi giorni stanno cercando di esprimersi a livello internazionale.

Il corteo,che contava più di 500 persone, si è mosso dall’università occupata di palazzo Giusso ed è arrivato nei pressi di via Roma dove l’enorme dispiegamento di polizia, teso a non permettere l’ingresso sotto il Palazzo Reale, ha risposto con cariche di alleggerimento per disperdere il corteo di dissenso.

Il corteo ha resistito ed ha deciso di raggiungere lo stesso Piazza del Plebiscito attraverso i quartieri spagnoli ma raggiunta p.zzetta carolina la polizia ha richiuso il corteo non permettendo il passaggio. Successivamente il corteo ha ripercorso via Roma per terminare a p.zza carità.

Ancora una volta la nostra città ha dimostrato che la soluzione per uscire dalla crisi la conosce già.

contro l’Europa dei padroni, scioperi e occupazioni!!!!!  

                                                                                         Coordinamento II Policlinico

Fornero: Napoli non cede sui propri diritti!

Oggi la ministra del lavoro Fornero insieme al suo corrispettivo tedesco Ursula von der Leyen erano a Napoli per un vertice sull’apprendistato.

In piazza ad accoglierle c’erano 3000 student@, disoccupat@ e precar@ che hanno dimostrato il loro dissenso nei confronti delle politiche neoliberiste volte a distruggere il diritto allo studio, al lavoro,alla salute e quindi alla sopravvivenza.

Il corteo partito da P.zza S. Vitale si è mosso alla volta della Mostra D’oltremare per raggiungere la sede del congresso ma la polizia ha lanciato vari fumogeni ad altezza uomo rendendo l’aria irrespirabile,spaccando i denti ad uno studente ,e ha caricato con violenza studenti medi colpendo alla testa una studentessa. Molti studenti sono stati portati in ospedale per le gravi lesioni subite negli scontri.

Il lancio dei lacrimogeni è continuato fino all’interno del politecnico rendendo impossibile lo svolgimento delle lezioni.

Il corteo si è poi ricompattato, ha percorso la galleria ed è giunto sul Lungomare per poi fermarsi sotto la questura ed esprimere la sua solidarietà nei confronti degli studenti fermati negli scontri. Leggi tutto “Fornero: Napoli non cede sui propri diritti!”

La cultura non è una merce!

 Anche quest’anno le riforme e i provvedimenti presi dal governo Monti confermano il potere economico come valore fondamentale della nostra società: ogni aspetto della nostra vita è ormai sottomesso a logiche di mercato: la nostra salute, l’università, il mondo del lavoro, la ricerca e la conoscenza. La spending review si è abbattuta violentemente sulle nostre vite universitarie e non solo: una per tutte è l’aumento del 126 per cento della nostra tassa regionale!

Ecco un progetto che, nel piccolo, si oppone a tutto ciò…LIBREREMO

Cos’è Libreremo?
E’ un progetto finalizzato alla condivisione e alla circolazione di libri di testo utilizzati nelle università italiane, manuali, appunti e dispense, testi rari o in lingua originale e libri fuori catalogo perché poco interessanti per il mercato.

Libreremo intende mettere nelle mani degli studenti uno strumento per riappropriarsi, attraverso la collaborazione reciproca, del proprio diritto allo studio e per stimolare, attraverso la diffusione di materiale controinformativo, una critica della proprietà intellettuale al fine di smascherarne i reali interessi.

Ci lasciano credere che copiare un libro o scaricare una canzone siano reati gravi, che ledano economicamente l’autore, il detentore della “paternità dell’opera”.
Questo non è vero perché il diritto d’autore non tutela veramente gli autori di un testo, ma gli interessi del colosso editoriale per cui questo scrive. Infatti la SIAE, l’ente italiano preposto alla protezione ed all’esercizio dei diritti d’autore, non tutela gli interessi del singolo autore, ma quelli dell’editore,che si accaparra un’esclusiva riguardo allo sfruttamento economico dell’opera stessa!

Come ci puoi aiutare?

– portando nell’auletta occupata dell’ed 20 dei nuovi libri da scannerizzare o dei libri che non usi più e vuoi condividere
– diffondendo il progetto, informandoti e discutendo con noi della proprietà intellettuale

Perché portare Libreremo a Medicina? Perché in una facoltà dove persino poter accedere al corso di studi ha un ben preciso prezzo in termini di tempo, studio e danaro, è ancora più importante dire che: vogliamo che la conoscenza accessibile a chiunque e riteniamo indispensabile formarci ed informarci in modo consapevole e critico.

La nostra sete di conoscenza non può e non deve essere sottomessa ai criteri del massimo profitto e della speculazione economica!

Puos‘e libr!!!
Giovedì 25 ottobre dalle h 9:00 caffè sociale all’ed. 20: riniziamo insieme con libreremo!

Vieni a prendere i libri che ti servono e aiutaci, portando libri che possiamo scannerizzare o quelli che non ti servono più e vuoi condividere!

La situazione in Siria e il movimento contro la guerra

 La grave situazione in Siria, pone i movimenti che in questi anni si sono   battuti contro la guerra di fronte a nuovi e vecchi problemi che producono lacerazioni, immobilismo e un vuoto di iniziativa.

Siamo attivi in reti, realtà politiche e movimenti che in questi anni – ed anche in questi mesi – non hanno esitato a schierarsi contro l’escalation della guerra umanitaria con cui l’alleanza tra potenze della Nato e petromonarchie del Golfo, sta cercando di ridisegnare la mappa del Medio Oriente.

a) Interessi convergenti e prospettive divergenti al momento convivono dentro questa alleanza tra le maggiori potenze della Nato e le potenze che governano “l’islam politico”. E’ difficile non vedere il nesso tra l’invasione/disgregazione della Libia, l’escalation in Siria, la repressione saudita in Barhein e Yemen e i tentativi di normalizzazione delle rivolte arabe lì dove sono state più impetuose (Tunisia, Egitto). La dottrina del Dipartimento di Stato Usa “Evolution but not Revolution” aveva decretato quello che abbiamo sotto gli occhi come l’unico sbocco consentito della Primavera Araba. Da queste gravi responsabilità è impossibile tenere fuori le potenze dell’Unione Europea, in particolare Francia, Gran Bretagna e Italia, che hanno prima condiviso l’aggressione alla Libia, hanno mantenuto intatto il loro sostegno politico e militare ad Israele ed oggi condividono la stessa politica di destabilizzazione per la Siria.

b) I movimenti che si oppongono alla guerra, in questi ultimi anni hanno dovuto fare i conti con diverse difficoltà. La prima è stata la rimozione della guerra dall’agenda politica dei movimenti e delle forze della sinistra o, peggio ancora, una complice inerzia verso le aggressioni militari come quella in Libia. Dalla “operazione di polizia internazionale in Iraq” del 1991 alla “guerra umanitaria in Jugoslavia” nel 1999 per finire con le “guerre per la democrazia” del XXI Secolo, le guerre asimmetriche scatenate dai primi anni Novanta in poi dalle coalizioni di grandi potenze contro paesi più deboli (Iraq, Somalia, Afghanistan, Jugoslavia, Costa d’Avorio, Libia), hanno sempre cercato una legittimazione morale che poco a poco sembra essere penetrata anche nella elaborazione e nel posizionamento di settori dei movimenti pacifisti e contro la guerra. I sostenitori della “guerra umanitaria” statunitensi ma non solo, stanno cercando di definire una cornice legale agli interventi militari attraverso la dottrina del “Rights to Protect” (R2P). Gli obiettivi di queste guerre sono stati sempre presentati come la inevitabile rimozione di capi di stato o di governi relativamente isolati o addirittura resi invisi alla cosiddetta “comunità internazionale” sia per loro responsabilità che per le martellanti campagne di demonizzazione mediatiche e diplomatiche.

c) Saddam Hussein, Aydid, Milosevic, il mullah Omar, Gbagbo, Gheddafi e adesso Assad, sono stati al centro di una vasta operazione di cambiamento di regime che è passata attraverso gli embarghi, i bombardamenti e le invasioni militari da parte delle maggiori potenze della Nato e i loro alleati regionali, operazioni su vasta scala che hanno disgregato paesi immensamente più deboli perseguendo la “stabilità” degli interessi occidentali attraverso la destabilizzazione violenta di governi o regimi dissonanti. A prescindere dalle maggiori o minori responsabilità di questi leader verso il benessere e la democrazia dei loro popoli, le maggiori potenze hanno agito sistematicamente per la loro rimozione violenta attraverso aggressioni militari e imposizione al potere di nuovi gruppi dirigenti subordinati agli interessi occidentali.

  1. Seppure negli anni precedenti la consapevolezza che la divisione tra “buoni e cattivi” non sia mai stata una categoria limpida e definita – anzi è servita a occultare le vere motivazioni delle guerre – nel nostro paese ci sono stati movimenti di protesta che si sono opposti alla guerra prescindendo dai soggetti in campo e che si sono posizionati sulla base di una priorità: quel no alla guerra senza se e senza mache in alcuni momenti ha saputo essere elemento di identità e mobilitazione straordinario. Sembra però che la coerenza con questa impostazione si stia sempre più affievolendo e in alcuni casi ribaltando. La macchina del consenso alle guerre ha visto infatti crescere gli elementi di trasversalità. Prima erano solo personalità della destra a sostenere gli interventi militari, adesso vi si arruolano anche uomini e donne della sinistra. Questa difficoltà era già emersa nel caso dell’aggressione militare alla Libia ed oggi si rivela ancora più lacerante rispetto alla possibile escalation in Siria.

e) Le iniziative contro la guerra che ci sono state in questi mesi, seppur minoritarie, sono riuscite a ostacolare l’arruolamento attivo di alcuni settori pacifisti nella logica della guerra umanitaria, hanno creato una polarizzazione che in qualche modo ha esercitato un punto di tenuta di fronte alla capitolazione politica, culturale del pacifismo e dell’internazionalismo. Ma la realtà sta incalzando tutte e tutti, ragione per cui è necessario affrontare una discussione nel merito dei problemi che la crisi in Siria ci porrà davanti nei prossimi mesi.

  1. In tutte le guerre asimmetriche – che di fatto sono aggressioni unilaterali – le potenze occidentali hanno sempre lavorato per acutizzare le contraddizioni e i contrasti esistenti nei paesi aggrediti. La questione semmai è che l’ingerenza esterna da parte delle potenze della Nato e dei loro alleati ha agito sistematicamente per una deflagrazione violenta dei contrasti interni che consentisse poi l’intervento militare e servisse a legittimare la “guerra umanitaria”. La guerra mediatica ha bisogno sempre di sangue, orrori, cadaveri, stragi da gettare nella mischia e negli occhi dell’opinione pubblica. Di solito le notizie su questo vengono martellate nei primi venti giorni. Smentirle o dimostrarne la falsità o la maggiore o minore manipolazione, diventa poi difficile se non impossibile. Ciò significa che tutto viene inventato o manipolato? No. Ma un conflitto interno senza ingerenze esterne può trovare una soluzione negoziata, se le ingerenze esterne lavorano sistematicamente per impedirla si arriva sempre ai massacri e poi all’intervento militare “stabilizzatore”. Chiediamoci perchè tutti i piani e gli accordi di pace in questi venti anni sono stati fallire (ultimo in ordine di tempo quello di Kofi Annan sulla Siria). Il loro fallimento è funzionale al fatto che l’unico negoziato accettabile per le potenze occidentali è solo quello che prevede la resa o l’uscita di scena – anche violenta – della componente dissonante. Questo è quanto accaduto ed è facilmente verificabile da tutti.
  2. Le soluzioni avanzate dalle sedi della concertazione internazionale (Consiglio di Sicurezza dell’Onu, organizzazioni regionali come Unione Africana, Lega Araba e Alba), non state capaci di opporsi alle politiche di “cambiamento di regimi” decise dagli Usa o dalla Ue. I leader dei regimi o dei governi rimossi, hanno cercato in più occasioni di arrivare a compromessi con gli Usa o la Nato. Per un verso è stata la loro perdizione, per un altro era una strada sbarrata già dall’inizio. Più cercavano un compromesso e maggiori diventavano le sanzioni adottate negli embarghi. Più si concretizzavano le condizioni per una ricomposizione dei contrasti interni e più esplodevano autobombe o omicidi mirati che riaprivano il conflitto. Se l’unica soluzione proposta diventa il suicidio politico o materiale di un leader o lo sgretolamento degli Stati, qualsiasi negoziato diventa irrilevante.
  3. Dalla storia della Siria non sono rimovibili le modalità autoritarie con cui in varie tappe è stata affrontata la domanda di cambiamento di una parte della popolazione siriana. Non è possibile ritenere che la leadership siriana sia l’unica a aver gestito in modo autoritario le contraddizioni e le aspettative nel mondo arabo. Questa caratteristica è comune a tutti i paesi del Medio Oriente ed è una conseguenza dell’imposizione dello Stato di Israele nella regione e un retaggio del colonialismo. Ciò non giustifica la leadership siriana ma ci indica anche chiaramente come la sua sostituzione non corrisponderebbe affatto ad un avanzamento democratico o rivoluzionario per il popolo siriano. E’ sufficiente guardare quale tipo di leadership si è impossessata del potere una volta cacciati Mubarak in Egitto, Ben Alì in Tunisia, Gheddafi in Libia o chi sta imponendo il tallone di ferro su Barhein, Yemen, Oman. Sono paesi in cui c’è gente che ha lottato seriamente per maggiore democrazia e diritti sociali più avanzati, ma chi ne sta gestendo le aspettative sono le potenze della Nato, le petromonarchie del Golfo e le componenti più reazionarie dell’islam politico. Le componenti progressiste della Primavera Araba sono state – al momento – isolate e sconfitte da questa alleanza tra potenze occidentali e le varie correnti dell’islam politico.
  4. Dentro la crisi in corso in Siria, la leadership di Bashar El Assad ha conosciuto due fasi: una prima in cui ha prevalso la consuetudine autoritaria, una seconda in cui è cresciuto il peso politico delle forze che spingono verso la democratizzazione. I risultati delle ultime elezioni legislative non sono irrilevanti: ha votato il 59% della popolazione nonostante la guerra civile in corso in diverse parti del paese (in Francia, in condizioni completamente diverse, alle ultime elezioni ha votato il 53%, in Grecia nelle elezioni più importanti degli ultimi decenni ha votato il 62%); per la prima volta si è rotto il monopolio politico del partito di governo, il Baath, e nuove forze sono entrate in Parlamento indicando questa rottura come obiettivo pubblico e dichiarato, si è creato cioè l’embrione di uno spazio politico reale per un processo di democratizzazione del paese; le forze che si oppongono alla leadership di Assad vedono prevalere le componenti armate e settarie, un dato che si evidenzia nei massacri e attentati che vengono acriticamente e sistematicamente addossati alle truppe siriane mentre più fonti rivelano che così non è. Le forze di opposizione con una visione progressista sono ridotte a ben poca cosa e non potranno che essere stritolate dall’escalation in corso; infine, ma non per importanza, l’ingerenza esterna è quella che sta facendo la differenza. Non è più un mistero per nessuno che le forze principali dell’opposizione ad Assad siano sostenute, armate e finanziate dall’alleanza tra le potenze della Nato (Turchia inclusa) e i petromonarchi di Arabia Saudita e Qatar. E’ un’alleanza già sperimentata in passato sia in Afghanistan che nei Balcani e nel Caucaso, un’alleanza che si è rotta alla fine degli anni Novanta e poi ricomposta dopo il discorso di Obama al Cairo che annunciava e auspicava gli sconvolgimenti nel mondo arabo. Queste forze e l’alleanza internazionale che li sostiene puntano apertamente ad una guerra civile permanente e diffusa per destabilizzare la Siria. I corridoi umanitari a ridosso del confine con Turchia e Libano e la No fly zone, saranno il primo passo per dotare di retrovie sicure i miliziani dell’Esercito Libero Siriano, spezzare i collegamenti tra la Siria e i suoi alleati in Libano (Hezbollah soprattutto), destabilizzare nuovamente il Libano e rompere il Fronte della Resistenza anti-israeliana. Se il logoramento e la destabilizzazione tramite la guerra civile permanente non dovesse dare i risultati desiderati, è prevedibile un aumento delle pressioni sulla Russia per arrivare ad un intervento militare diretto delle potenze riunite nella coalizione ad hoc dei “Friends of Syria” guidata dagli Usa ma con molti volonterosi partecipanti come la Francia di Hollande o l’Italia di Monti e del ministro Terzi.
  5. In questi anni, nelle mobilitazioni in Italia contro la guerra o per la Palestina, abbiamo registrato ripetuti tentativi di gruppi e personaggi della vecchia e nuova destra di aderire e partecipare alle nostre manifestazioni. Un tentativo agevolato dall’abbassamento di molte difese immunitarie nella sinistra e nei movimenti sul piano dell’antifascismo ma anche dalla voragine politica lasciata aperta dall’arruolamento di molta parte della sinistra dentro la logica eurocentrista, dalla subalternità all’atlantismo e dalla complicità – o al massimo dall’equidistanza – tra diritti dei palestinesi e la politica di Israele. Se la sinistra e una parte dei movimenti hanno liberato le piazze dalla mobilitazione contro la guerra, dal sostegno alla resistenza palestinese e araba ed hanno smarrito per strada la loro identità, è diventato molto più facile l’affermazione di alcuni gruppi marginali della destra e della loro chiave di lettura esclusivamente geopolitica ed eurasiatica della crisi, dei conflitti e delle relazioni sociali intesi come lotta tra potenze. I gruppi della destra veicolano un antiamericanismo erede della sconfitta subita dal nazifascismo nella seconda guerra mondiale e completamente avulso da ogni capacità di lettura dell’egemonia imperialista sia nel suo versante statunitense che in quello europeo. Una chiave di lettura sciovinista e reazionaria che nulla a che vedere con una identità coerentemente anticapitalista ed internazionalista. Non solo. La paura di gran parte della sinistra di declinare la solidarietà con i palestinesi come antisionista e anticolonialista, ha regalato a questa destra e alla sua declinazione razzista e antiebraica uno spazio di iniziativa, cultura e solidarietà che storicamente ha sempre appartenuto alle forze progressiste. Se si cede su un punto decisivo si rischia di capitolare poi su tutto lo scenario mediorientale. Se questo è già visibile anche negli altri ambiti dell’agenda politica e sociale nel nostro paese, è difficile immaginare che non avvenga anche sul piano della mobilitazione contro la guerra e sui problemi internazionali. Sulla Palestina e nella mobilitazione contro la guerra abbiamo sempre respinto ogni tentativo di connivenza con i gruppi della destra. Intendiamo continuare a farlo ma vogliamo anche segnalare che – come sul piano sociale o giovanile – è l’assenza di iniziative e la debole identità della sinistra a facilitare il compito ai fascisti, non viceversa. E’ necessario dunque che alla coerenza con le posizioni e il ruolo svolto dalle nostre reti, associazioni, organizzazioni in questi venti anni e che ha visto schierarci sempre contro la guerra senza se e senza ma, si affianchi un recupero di identità e di contenuti.

f) La seconda difficoltà che abbiamo dovuto registrare è stata quella di una lettura superficiale del nesso tra la crisi che attanaglia le maggiori economie capitaliste del mondo (Stati Uniti ed Unione Europea soprattutto) e il ricorso alla guerra come strumento naturale della concertazione e della competizione tra le varie potenze e i loro interessi strategici. Una concertazione evidente quando si tratta di attaccare e disgregare gli stati deboli (Libia, Jugoslavia, Afghanistan) , una competizione quando si tratta di capitalizzare a proprio favore i risultati delle aggressioni militari (Georgia, Iraq. Libia). Se il colonialismo classico è andato all’assalto del Sud del mondo per accaparrarsi le risorse, il neocolonialismo è andato a caccia di forza lavoro a basso costo. Ma dentro la crisi di sistema che attanaglia le maggiori economie capitaliste del mondo, queste due dimensioni oggi si sono ricomposte nella loro sintesi più alta e aggressiva. Alcuni di noi la definiscono come imperialismo, altri come mondializzazione, comunque la si chiami oggi si è riaperta una competizione a tutto campo per accaparrarsi il controllo di risorse, forza lavoro, mercati e flussi finanziari. Questa conquista ha come obiettivo soprattutto l’economia dei paesi emergenti e quelli in via di sviluppo che molti ritengono poter essere l’unica via d’uscita e valvola di sfogo per la crisi di civilizzazione capitalistica che sta indebolendo Stati Uniti ed Unione Europea. In tale contesto, la guerra come strumento della politica e dell’economia è all’ordine del giorno. Se pensiamo di aver visto il massimo degli orrori in questi anni, rischiamo di doverci abituare a spettacoli ben peggiori. L’alleanza – non certo inedita – tra potenze occidentali, petromonarchie e movimenti islamici ha rimesso in discussione molti schemi, a conferma che il processo storico è in continua mutazione e che limitarsi a fotografare la realtà senza coglierne le tendenze è un errore che rischia di paralizzare l’analisi e l’azione politica.

I firmatari di questo documento declinano in modo diverso categorie come imperialismo, mondializzazione, militarismo, disarmo, antisionismo, anticapitalismo, pacifismo, solidarietà internazionale e internazionalismo, ma convergono su un denominatore comune sufficientemente chiaro nella lotta contro la guerra e le aggressioni militari.

Per queste ragioni condividiamo l’idea di promuovere:

  • Il percorso comune di riflessione che ha portato a questo documento
  • La costituzione di un patto di emergenza per essere pronti a scendere in piazza se e quando ci sarà una escalation della Nato e dei suoi alleati contro la Siria al quale chiediamo a tutti di partecipare
  • l’impegno ad un lavoro di informazione e controinformazione coordinato che contrasti colpo su colpo e con ogni mezzo a disposizione la manipolazione mediatica che spiana la strada a nuove “guerre umanitarie”, anche in Siria

     

    http://napolinowar.wordpress.com/2012/07/05/giu-le-mani-dalla-siria/#more-95

Contro gli spechi e per i NOSTRI DIRITTI!

Ieri, 23 Maggio, abbiamo deciso, insieme ad una sessantina di studenti, di interrompere il consiglio di facoltà di medicina durante il quale era in programma la discussione sul “riammodernamento” dell’edificio 20 del Secondo Policlinico. Questo edificio, rappresenta per molti studenti di medicina e non, l’unico spazio universitario in tutta Napoli aperto 24 ore su 24, in cui poter vivere pienamente l’esperienza universitaria, non solo per poter studiare ma anche per avere un confronto sociale con altri studenti.

L’intenzione del preside e di alcuni professori era quella di approvare dispendiosi ed inutili lavori, senza aver interpellato gli studenti, che quegli spazi li vivono, al solo scopo di ristabilire rapporti di potere all’interno della Facoltà e di avere una scusa per poter sgomberare lo spazio liberato Sergio Piro, sulla falsariga dell’agito degli altri presidi dell’ateneo Federico II.

I lavori, infatti, spacciati per delle “migliorie a favore degli studenti” non comportano alcun reale vantaggio per gli studenti, anzi, andrebbero per lo più a determinare dei cambiamenti svantaggiosi per gli studenti, con grande sperpero dei soldi pagati con le tasse di questi ultimi!

Quindi il collettivo e gli studenti si sono subito mobilitati per bloccare questa pretestuosa iniziativa, dopo averne discusso in una partecipatissima assemblea.

Nel momento in cui gli studenti hanno preso parola in Consiglio, by-passando le rappresentanze istituzionali, il Preside è stato costretto ad aggiustare il tiro e fare fumose promesse di dialogo ed impegno. Inutile dire che noi, così come fu quando ci battemmo per riottenere la biblioteca, insieme a tutti gli studenti sensibili , continueremo a vigilare sull’operato del preside e dei Professori, per evitare che ci vengano sottratti i nostri diritti fondamentali.

 

Non un passo indietro!    

 

 Coordinamento II Policlinico