Niente rissa tra “studenti e lavoratori”, ma aggressione di fascio-camorristi e cariche della polizia!

Un centinaio di studenti e ricercatori napoletani dei collettivi erano in presidio sotto la Prefettura in piazza Plebiscito nato spontaneamente stamani per contestare la “passerella” del neo-ministro dell’istruzione Carrozza e per protestare per le violente cariche di ieri della polizia dentro l’Università Statale di Milano, fatto avvenuto in seguito allo sgombero della biblioteca autogestita “Ex-Cuem”. Un fatto senza precedenti da molti anni (un “esempio” delle intenzioni del nuovo ministro dell’Interno Alfano nella gestione delle rivendicazioni degli studenti e dei lavoratori!!).

In piazza in mezzo a una trentina di ex dipendenti dei consorzi di Bacino, si sono aggiunti, all’isaputa degli studenti, alcuni nazifascisti e soprattutto Salvatore Lezzi, noto fascista, tra i fondatori a Napoli della formazione nazifascista Forza Nuova, a processo nel 2003 per aver chiesto tangenti ai disoccupati delle cooperative in combutta con camorristi. Questi hanno effettuato provocazioni, saluti romani e lanciato un casco contro i manifestanti. A quel punto la tensione è salita e la polizia ha violentemente caricato una prima volta gli studenti che manifestavano ferendo un ragazzo a manganellate, poi una seconda ferendo e fermando alcuni studenti e dottorandi. Ora sono stati tutti rilasciati ma non prima di aver subito nei locali della Prefettura intimidazioni fisiche e verbali e finanche danneggiamenti agli effetti personali da parte delle forze dell’ordine.
Polizia e fascisti erano evidentemente schierati insieme, nel tentativo di aggredire e disperdere il presidio degli studenti.
Denunciamo e smentiamo con forza qualunque ricostruzione della giornata (già fatta da alcuni giornali, tipo Repubblica) che si sia trattata di una “rissa tra lavoratori e studenti”. Diversi lavoratori hanno infatti, in seguito alla duplice aggressione di fascisti e polizia, dimostrato apertamente la loro solidarietà agli studenti dichiarando la loro estraneità a quei personaggi.
Questi figuri dell’estrema destra campana non sono nuovi a queste dinamiche, così come le forze dell’ordine di questa città. Già si sono viste all’opera ad esempio il 10 ottobre 2011 a via Marina di fronte a uno dei palazzi dell’università, avvenimento per cui si terrà lunedì prossimo un presidio di solidarietà in occasione della prima udienza contro 10 antifascisti.

Reti studentesche napoletane

 

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Stamattina a Napoli abbiamo assistito alla prima passerella del nuovo governo, insieme alla brutalità di fascisti, camorristi e polizia

In visita nella nostra città il ministro dell’istruzione Carrozza ha incontrato i rettori  delle università campane presso la Prefettura di piazza del Plebiscito. Durante il presidio, mentre eravamo intenti a spiegare il motivo della contestazione, con cori, interventi e striscioni, un lavoratore ex dipendente del CUB Salvatore Lezzi (che si è rivelato essere un militante di Forza Nuova) ha aggredito prima oralmente, poi fisicamente gli studenti. In quel momento sono intervenute le forze dell’ordine che sanno sempre chi colpire. Sono partite così ripetute e violente cariche, intervallate da continue provocazioni da parte di Salvatore Lezi che, non contento, dalle spalle dello schieramento di forze dell’ordine, lancia un casco. La celere carica nuovamente gli studenti, molti di questi feriti e tre fermati, successivamente tutti rilasciati.

False le prime notizie pubblicate sulle varie testate online che riportavano di tafferugli tra gli studenti e tutti gli ex dipendendi del CUb.

Siamo scesi in piazza non soltanto per ribadire al nuovo ministro (che di “nuovo” ha soltanto la faccia) il nostro dissenso con le politiche che da anni massacrano l’istruzione pubblica, ma anche per dare appoggio e solidarietà agli studenti e le studentesse di Milano, in seguito ai fatti gravissimi di ieri. Il rettore Vago dell’Università di Milano, infatti, ha fatto sgomberare  la libreria Ex – Cuem precedentemente occupata dagli studenti, facendoli successivamente caricare dalla Celere che in assetto antisommossa è entrata in massa  all’interno della facoltà aggredendo e cacciando a suon di manganelli gli studenti che si erano radunati lì in assemblea per difendere lo spazio

Governo, fascisti e polizia non ci fermeranno! Continuiamo con le nostre lotte dentro e fuori le università! Per un’università pubblica e di massa!

 

Di seguito un video della seconda carica


http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=JQHLPunhNtw

Solidarietà a Giulio Palermo

Esprimiamo solidarietà massima al compagno Giulio Palermo, ricercatore dell’Università di Brescia il cui rettore ha chiesto la sua sospensione per le sue posizioni politiche. Già l’anno scorso ebbe pressioni per aver portato gli studenti sotto la gru dove degli immigrati salirono per protestare contro questo governo della disuguaglianza, per aver denunciato più volte pubblicamente il sistema di “reclutamento” dei docenti universitari e aver lottato contro l’oppressione.

 Giulio ha il torto di essere un economista marxista e proprio a settembre è venuto a Napoli per spiegare agli studenti cosa sono le varie manovre varate e quali saranno le loro conseguenze.

 Lega Nord e poteri baronali cercano di zittirlo, noi invece chiediamo più docenti e ricercatori come lui che favoriscono realmente il dibattito nelle aule universitarie e non docenti che “formano” studenti disciplinati che obbediscono acriticamente al sistema in cui siamo costretti a vivere.

Chiediamo a tutti di far girare l’info e sostenere la sua lotta!

 Dalla sua pagina facebook: “L’altro ieri sono stato processato dal Collegio di disciplina del Consiglio universitario nazionale per non essermi lasciato schiaffeggiare da una professoressa ordinaria della mia università. L’ateneo, intervenuto al processo che si è tenuto a Roma, al Ministero, ha chiesto la mia sospensione dal servizio (e dallo stipendio) per un anno. La decisione del Collegio baronale, ovviamente, non mi è stata comunicata. Sarà trasmessa prima alla mia università, da dove è partita l’accusa, e solo successivamente quest’ultima me ne darà comunicazione (forse in modo solo implicito, smettendo di accreditarmi lo stipendio). Non che io abbia mai avuto rapporti conviviali con l’ateno per il quale lavoro da 11 anni, ma una piccola accelerazione mi sembra ci sia stata nell’ultimo anno: un’interrogazione parlamentare per “le mie attività sovversive” (parole di Grimoldi – Lega nord), un mio libro sull’università baronale bloccato a 10 giorni dall’uscita (editore Carocci), l’esclusione da tutti gli insegnamenti da parte del Consiglio di facoltà e ora la richiesta di sospensione dal servizio. Cari leghisti e baroni universitari: se vi incazzate tanto, avrete pure i vostri buoni motivi. Farò il possibile per non deludervi. A pugno chiuso”

 

Collettivo Autorganizzato Universitario – Collettivo BreakOut Architettura – Coordinamento II Policlinico

Alcune riflessioni sul 15 Ottobre

 

Descrivere, senza alcuna superficialità o malafede, quello che è stato il 15 Ottobre richiede necessariamente uno sforzo di ragionamento. Occorre andare al di là delle prime impressioni, e tentare di essere quanto più oggettivi possibile. Abbiamo cercato di portare un contributo all’analisi degli eventi, pur consapevoli che queste valutazioni resteranno parziali e che probabilmente soltanto nei mesi a venire comprenderemo realmente la portata e le conseguenze degli avvenimenti appena trascorsi.

2+2=5 (George Orwell)

 Chi ha vissuto il 15 Ottobre solo dalle notizie veicolate dai media istituzionali, ne riceve un quadro già prestabilito: è una visione che è già narrazione, e come tale pretende di spiegare e valutare, dando degli eventi un quadro netto e delineato in cui sia facile e funzionale additare i “cattivi”. Ma le cose non sono mai così semplici, e viene da chiedersi a chi convenga presentarle in questa veste.

 Da destra e da sinistra, la condanna è unanime! I toni sono apocalittici: dall’evocazione di un “nuovo pericolo terrorismo”, alla riesumazione della sempre efficace e semplicistica etichetta di “black bloc”, alle operazioni francamente nauseanti dei giornali della cosiddetta sinistra istituzionale, con Repubblica in prima fila, in una vera e propria “caccia alle streghe” da sacrificare in pubblica piazza, e che “impone” una presunta empatia tra manifestanti e poliziotti, le cui vere “carezze” conosciamo bene. Il clima in questi giorni è realmente Orwelliano: mistificazione della realtà, proposte che annientano la libertà di manifestare ed inviti bipartisan alla delazione, alla denuncia dei “diversi”, di chiunque, cioè, manifesti la propria “indignazione” al di fuori dei confini prestabiliti dal sistema stesso che si intende rovesciare.

Tutti vedono la violenza del fiume in piena. Nessuno vede la violenza degli argini che lo costringono” (Bertolt Brecht)

Chi sono i ”violenti”? La potenza evocativa delle immagini di devastazioni e incendi non sembra lasciare spazio a dubbi. E’ la violenza incontenibile del fiume in piena. Ma quali argini l’hanno costretta sinora, fino a farla esplodere in maniera così devastante? E’ la violenza non raccontata dell’intero sistema capitalista, che si abbatte quotidianamente con brutalità sulle nostre vite e soffoca aspirazioni, speranze, sogni: la vita precaria, la competizione esasperata, la corsa infinita verso successo e consumo, la miseria degli esclusi e degli emarginati, il controllo sociale, le morti sul lavoro (quasi 1000 dall’inizio del 2011 ad oggi!) : è un bollettino di guerra.

Il fatto che questo sia un mondo in cui l’unica prospettiva possibile è la mera sopravvivenza ci impedisce di percepire la realtà di sopruso incessante in cui viviamo. L’unico ruolo concesso è quello della vittima inerme: solidarizziamo con le migranti bambine costrette a prostituirsi, con gli operai licenziati che non riescono a tirare avanti, con le mamme anti-discarica pestate dalla polizia, ma non appena la vittima osa opporsi alla sua condizione di sfruttato, sollevandosi contro gli oppressori, allora diventa un criminale.

Tra i “teppisti” del 15 ottobre, anche i telegiornali di regime sono costretti in questi giorni a riconoscerlo, ci sono giovani e giovanissimi studenti, lavoratori precari che non fanno parte di alcuna organizzazione e che hanno come unico comune denominatore quello di non avere un futuro e quindi di non avere più nulla da perdere.

Non bisogna, quindi, assolutamente dirsi contrari alla violenza in ogni caso, ma capire che la “violenza cieca” delle masse è legittimata quando viene canalizzata verso l’obiettivo rivoluzionario. Obiettivo che si realizza solo dopo aver preso coscienza della propria condizione ed aver individuato la causa che l’ha generata.

Violenza che, a quel punto, non è più lecito chiamar tale, ma sarebbe meglio dire “resistenza”. Come è resistenza la lotta dei NO-TAV in Val di Susa, che si è provato ripetutamente a criminalizzare, senza riuscirci e che ora, come lasciano presagire le finte interviste di repubblica, si tenterà nuovamente di infangare!

Non ci sorprende, a differenza di altri, che la manifestazione di Roma, essendo la più partecipata d’Europa, fosse anche la più conflittuale. Da un lato la peculiarità italiana è stata proprio questa, l’essere riusciti a portare in piazza uno spaccato della massa, della gente reale, quella non militante e che non appartiene a strutture organizzate, quella, per intenderci, senza ideologie e senza bandiere (come spiegare altrimenti questi numeri?). Ma c’è dell’altro. L’Italia in questo momento si trova nell’occhio del ciclone, pronta a subire le stesse “cure” imposte dalla Banca Centrale Europea ad altri paesi, come la Grecia, che proprio mentre scriviamo è scesa nuovamente in piazza, in maniera partecipata e radicale, assaltando il parlamento, dopo aver dichiarato uno sciopero generale di 48 ore.

Le manovre di austerity imposte dalla BCE e sostenute dai politici di destra e sinistra di tutta Europa, si declinano stato per stato nelle manovre finanziarie e nelle “riforme” più dure degli ultimi trent’anni. Tali manovre, varate in nome di una crisi che ci viene presentata come temporanea, ma che noi sappiamo essere strutturale del sistema capitalistico, hanno condotto e conducono allo smantellamento del welfare e dei diritti fondamentali del lavoro, facendo scivolare fette sempre più ampie della popolazione verso un futuro di miseria e sfruttamento, a vantaggio del profitto di pochi.

Era quindi automatico e chiaro ai più, in primis ai politici che oggi si fingono sorpresi, che quello che è successo a Roma sarebbe accaduto, come era già capitato in passato ed in altri Paesi. La manifestazione di Roma è stata, quindi, solo questo: non più la semplice percezione di un mutamento storico, ma il netto rifiuto a pagarne ancora una volta il prezzo.

Inutile, dunque, parlare di anomalia italiana rispetto alle altre manifestazioni europee, inutile parlare di paradosso: “la più partecipata ma la più violenta”. Noi pensiamo che le due cose siano andate di pari passo, perché hanno la stessa causa (l’acuirsi della condizione di futuro “precario”) e che la specificità italiana (con le tre manovre finanziarie di quest’anno) abbia solo fatto da benzina ad una miccia già accesa, che a guardar vicino ha bruciato già nel 14 dicembre scorso (dove la protesta in larga parte giovanile pure sfociò in manifestazioni simili di rabbia).

Allora perché costruire una spaccatura tra manifestanti “buoni” e “cattivi”?

Le manifestazioni non sono mai servite a niente, altrimenti non le autorizzeremo mai” (J. Saramago)

La repressione dello stato risponde al nostro compagno Saramago. Leggiamo sulle principali testate che a seguito dei fatti del 15 ottobre sono vietati i cortei (in Val di Susa come nella capitale). Bene, facciamo paura. Questo ci fa piacere. Strano che facciamo paura, se per i principali media siamo qualche decina, al massimo qualche centinaia. Eppure provvedimenti di tale portata reazionaria sarebbero giustificati solo di fronte ad un esercito nemico, di fronte alla più inferocita massa di disperati infiammata di rabbia. Soprattutto sarebbero giustificati (seguendo Saramago) se le manifestazioni cominciassero a suscitare l’impressione al “potere” di un rischio vero. Non dunque la solita sfilata di carnevale coi carri e la gente che ride, che fa festa, contenta di essere dalla parte del giusto e di poterlo gridare, ma uomini e donne, a migliaia, decisi ad ottenere giustizia con ogni mezzo e a qualsiasi costo, per il semplice, banale fatto di non aver nulla da perdere.

Ben inteso, questo non è quello che è accaduto il 15. Quello è solo l’inizio. Da una parte bisogna partire.

Da quelle migliaia di persone (in maggioranza giovani) che erano lì a lottare. D’altra parte bisogna pur sapere che la reazione dell’apparato repressivo indica la via: hanno molta più paura di quello che possiamo essere, che di quello che siamo e siamo stati.

  “La speranza è una trappola inventata dai padroni, quelli che ti dicono «state buoni, zitti, pregate, che avrete il vostro riscatto, la vostra ricompensa nell’aldilà, perciò adesso state buoni, tornate a casa – sì, siete dei precari, ma tanto fra 2-3 mesi vi assumiamo ancora, vi daremo un posto. State buoni, abbiate speranza». Mai avere la speranza. La speranza è una trappola, è una cosa infame, inventata da chi comanda.

Come finisce questo film? Non lo so. Io spero che finisca con quello che in Italia non c’è mai stato: una bella botta, una bella rivoluzione.”

(M. Monicelli)

Siamo d’accordo con Rinaldini: il corteo del 15 è uno spartiacque. Ma noi ora sappiamo lui da che parte sta. Non con l’avversario politico, non con l’opposizione, ma col nemico. Non consideriamo avversario chi uccide 4 lavoratori al giorno – che Rinaldini avrebbe il dovere di salvare ma che evidentemente non riesce- non consideriamo avversario chi tiene a lavorare giovani a 600 euro al mese 10 ore al giorno, chi gioca con la contrattazione nazionale al ribasso, chi chiama “falliti” i ricercatori e “mammoni” i disoccupati, chi taglia le nostre pensioni (che non sono stato sociale ma salario differito!), chi aumenta le tasse al consumo e aumenta le spese sanitarie, distrugge il minimo diritto allo studio.

Per noi sono finiti i margini della contrattazione e della speranza.

Qui non è la struttura che scrive. Milioni di lavoratori non iscritti a un sindacato (prima di tutto i precari sotto ricatto), di disoccupati vecchi e nuovi, di migranti con o senza permesso di soggiorno, sanno che la contrattazione e le sfilate pacifiche non servono a nulla.

Dai giovani studenti, fino ai quarantenni anch’essi senza più speranza, sono in molti a non biasimare affatto la violenza, ma anzi rivendicarla, per ora anche solo a parole. Ci si rende conto che proprio grazie a quelli come Rinaldini in poco più di vent’anni a loro non è rimasto niente, e qualcuno ricorda che il sindacato che Rinaldini rappresenta era la più potente organizzazione sindacale del mondo occidentale.

Bel lavoro compagno! È questo quello che ti hanno voluto dire le masse a piazza San Giovanni, ascoltarle sarebbe il minimo, invece di additarli semplicemente come pazzi, teppisti, violenti.

Ma ci siamo proposti di essere oggettivi, ed è quindi giusto sottolineare la composizione del corteo di Roma. Molte persone non solo erano estranee alle violenze, ma effettivamente ne contestavano la legittimità, nei casi peggiori, comportandosi da repressori, fianco a fianco con la polizia (per intenderci, la stessa che ha ucciso a Genova Carlo Giuliani, a Ferrara Federico Aldrovandi, e Stefano Cucchi nella capitale proprio tra il 15 e il 16 ottobre, ma la lista sarebbe molto più lunga). Bene. Bravi questi qui, le persone per bene.

Queste persone, quelle “per bene”, sono anch’esse una massa eterogenea: da una parte, chi in malafede, aveva da strappare al corteo il proprio piccolo interesse, in termini di contrattazione elettorale, e dall’altra i molti, che ancora hanno qualche speranza, ma credono ingenuamente che questa possa arrivare dalle istituzioni. A questi ultimi ci interessa rivolgerci, perché sappiamo essere dalla nostra stessa parte, se solo vorranno fare un passo indietro ed osservare senza pregiudizi chi siamo ed essere disposti a dialogare con noi.

Chiediamo solo che si faccia chiarezza in modo pubblico e che ci si smarchi, eventualmente si faccia autocritica. È necessario sapere, oggi più che mai, da quale lato della barricata sta ognuno.

A chi conviene la “caccia alle streghe”?

A chi voleva, anche tra i movimenti, che la manifestazione fosse una sfilata e finisse con un comizio per lanciare nuove alleanze elettorali.

A chi esalta le primavere arabe in cui i leader di regime sono stati rovesciati da piazze armate ma si scandalizza per un sampietrino.

A chi già sa che gli effetti delle manovre finanziarie nei prossimi mesi aumenteranno ancora il divario tra i detentori di ricchezza privata e l’esercito di senza-futuro, inasprendo il conflitto sociale ed invoca già, per questo, misure restrittive che permettano di soffocare sul nascere ogni sussulto di dissenso.

A chi non vuole una reale trasformazione della società, ma vuole che tutto cambi affinché tutto resti uguale.

PACE SOCIALE VINCE IL CAPITALE. LOTTA DI CLASSE VINCONO LE MASSE

Coor2Pol

CON VITTORIO NEL CUORE

Ci sono uomini che nascono con la storia già scritta, che vivono sentendosi addosso sin dal principio tutto il dolore del mondo.

Non c’è modo di placare l’angoscia,  né di zittire quella voce assordante che ti martella, ripetendoti senza tregua che c’è qualcuno, in un qualsiasi angolo della terra, che nasce e muore senza conoscere altro che sofferenza e disperazione.

L’unica strada percor

ribile è quella della lotta, o rassegnarsi a perdere. Ma non è da perdenti che certi uomini potrebbero vivere.

 

Vittorio Arrigoni ha scelto di rinnegarsi e rinascere molto lontano, di svestire i panni comodi di chi è nato dalla “parte giusta” del mondo, di vivere gio

rno dopo giorno le pene e le angosce di un popolo oppresso e massacrato. Di morirne.

Ha trascorso anni lottando per una Palestina finalmente libera, per il diritto all’autodeterminazione di un popolo oppresso e martoriato. Ha vissuto sfidando i proiettili e le bombe infami dell’oppressore, rompendo il silenzio squallido di pennivendoli sedicenti giornalisti, quell

i che Gaza la raccontano da lontano, seduti dietro ad una scrivania, da bravi servi dell’imperialismo mondiale.

Sarà semplice fare in modo che Vittorio Arrigoni resti vivo in noi. Lo faremo attraverso il prosieguo nei fatti di tutto ciò in cui ha creduto e per cui è stato un esempio.  Lo faremo attraverso la lotta, ogni giorno, ma soprattutto lo faremo pensando alla vittoria. Sempre. Fino alla vittoria.

 

Per il diritto del Popolo Libico ad autodeterminarsi senza le ingerenze straniere.

Mentre festeggiamo l’anniversario della Comune di Parigi, che ci appassiona sicuramente più dell’avvenuta festa dell’Unità nazionale, ci giunge la notizia dell’inizio dei bombardamenti europei in Libia.
Quando uno Stato o un insieme di Stati bombarda un altro non ci domandiamo più da che parte stare. Se questo Stato è poi dell’Unione Europea e l’altro è ricco di petrolio neanche il più cretino dei democratici ha il diritto di dubitare. Gli ultimi 20 anni ci hanno abituati a guerre umanitarie, a ricerche di terroristi mai trovati e a armi di distruzione di massa inesistenti. Chiunque abbia un cervello ha gli strumenti e gli anticorpi per capire ormai che QUALUNQUE COSA DICANO SU QUALSIASI STATO DA BOMBARDARE è UNA MENZOGNA, e se c’è qualcosa di vero è ingigantito per giustificare e preparare le persone a credere che è necessario, che “bisogna pur fare qualcosa”.
Non è importante che in Egitto stiano contando ancora i morti o che in Arabia Saudita sparano per le strade a vista sui manifestanti, lì ci sono gli amici e il petrolio ce lo danno lo stesso.
L’arte della propaganda ha preparato il terreno per cui ora la Libia è il problema! Già si parlava di decine di migliaia di morti al primo giorno di conflitto in un paese che ha una densità di abitanti tanto bassa che 10000 morti non li farebbero nemmeno una decina di bombe atomiche!
Hanno parlato di fosse comuni (false), di un popolo intero in rivolta da Est a Ovest.
Gli USA con gli Arabi non possono più sporcarsi la faccia e il lavoro sporco lo fa la Francia, poco importa.
Paradossale il fatto che si continuino a propagandare con la macchina da guerra più efficace del mondo occidentale (i media) queste bandiere verdi e nere del vecchio Regno Unito di Libia, non meno inquietanti di quelle dei peggiori regimi della storia, schiavo e collaborazionista di Stati come Italia e USA che non aspettano altro di rimettere gli artigli sulle risorse energetiche libiche, insieme all’amichetto imperialista di turno, proprio come quando sulla Libia sventolava la bandiera che (guarda un po’!!!) oggi significa libertà!!!!
Significativo ci risulta la posizione di esponenti di sinistra che nei salotti televisivi si fanno portabandiera della pace salvo poi difendere gli interessi della nazione in un’offensiva bellica a poche centinaia di chilometri dalle nostre coste.
Contro la guerra imperialista, per il diritto del Popolo Libico ad autodeterminarsi senza le ingerenze straniere.
Domani presidio ore 10:30 a piazza Dante

La lotta non può essere sgomberata!!! Solidarietà ai compagni dell’orientale.

Sembrava un tranquillo lunedì e invece la mano repressiva delle istituzioni ha mostrato la propria forza.

Alle 7.00 ca. i carabinieri in assetto antisommossa hanno fatto irruzione nei due spazi FANON e ZERO81, da poco LIBERATI dall’oblio e restituiti ad una funzione sociale e di lotta. Le forze del (dis)ordine hanno persino valicato i confini della mensa occupata penetrando con irruenza all’interno di Palazzo Giusso, sede dell’università Orientale, proprio con la complicità del rettore Viganoni. Un evento repressivo del genere non si verificava da 40 anni, ed è dunque emblema della repressione contro chi in questi mesi di lotta ha voluto riappropriarsi dei propri spazi, dei propri diritti, del proprio futuro.

La nostra lotta non può fermarsi di fronte alle continue intimidazioni, ai continui sgomberi, da parte delle istituzioni.

LA VOSTRA REPRESSIONE NON CI FA PAURA, PER DIFENDERE I NOSTRI SPAZI LIBERATI LA LOTTA SARA’ SEMPRE PIU’ DURA.

APPUNTAMENTO ALLE ORE 15.00 A PALAZZO GIUSSO.

Coordinamento II Policlinico

Cariche al Museo Nazionale, la repressione colpisce ancora.

Proprio mentre il ddl Gelmini veniva approvato in senato. La nostra mobilitazione non si è fermata. I tagli approvati da questo governo non avevano toccato solo scuola e università, ma l’intero fondo sociale nazionale. Siamo andati al Museo Nazionale a portare la nostra solidarietà agli opertori sociali che da stamane erano in mobilitazione. Ma l’unità delle lotte proprio non piace a chi ci governa. Come successe al San Carlo qualche settimana fa, dopo un’assemblea con i lavoratori, che di buon grado avevano accettato la nostra solidarietà, stavamo chiedendo di fare una visita guidata gratuita per tutti all’interno del museo, ma i carabinieri manganello alla mano hanno cominciato a picchiare duro, contro studenti e lavoratori, ferendo anche alcuni studenti. Una carica violenta a dimostrazione del clima repressivo che si sta respirando negli ultimi mesi contro chi sta lottando autorganizzandosi dal basso.

La vostra repressione non ci farà paura, la nostra lotta sarà sempre più dura.