Contro il ddl 1905

Il ddl 1905, approvato il 28/10/10 dal Consiglio dei Ministri, segna un ulteriore passo verso quel progetto di università pianificato a livello europeo a partire dal “Processo di Bologna” e che vuole la formazione superiore e la ricerca sempre più al servizio delle esigenze degli imprenditori privati e sempre meno adatta a formare saperi critici.


  • Potere
    decisionale alle aziende private.

La trasformazione di università in fondazioni prevista dalla legge 133/08 apriva la strada alla partecipazione dei privati nella gestione dell’università, consentendo loro di sedere nei Consigli di Amministraizione (CdA). Ora si afferma che questi organi devono essere costituiti per ben il 40% da personalità che non svolgono ruoli nell‘università e che avranno il potere di deliberare in materia di programmazione finanziaria e del personale, di attivazione e soppressione di corsi e
sedi. Al CdA si attribuiscono in pratica competenze che prima
spettavano al Senato accademico (ormai relegato ad una funzione puramente propositiva), ponendo di fatto in mano ai privati decisioni di carattere strategico per la didattica e per la ricerca.

  • Negazione
    del diritto allo studio.

A fronte dell’aumento delle tasse universitarie, del mancato pagamento delle borse di studio, dei pochi fondi stanziati per case dello studente e mense, l’unica risposta che il governo fornisce è l’istituzione del Fondo per il merito, “finalizzato a promuovere l’eccellenza e il merito fra gli studenti individuati mediante prove nazionali standard”. Il fondo e` destinato a
erogare premi di studio, buoni studio e prestiti d’onore. Questi fondi vanno per buona parte restituiti a percorso ultimato. Inoltre non si sa con quali criteri saranno ammessi gli studenti alla prova nazionale, ma per ora i criteri di reddito lasciano pienamente il posto ad un criterio esclusivamente meritocratico. Invece di preoccuparsi di creare le condizioni per consentire a tutti pari accesso all’istruzione superiore, indipendentemente dalle classi sociali di appartenenza, si trasforma il diritto allo studio in una merce: esso può essere acquistato in cambio di lavoro presente (attività part-time) o futuro (prestito d’onore).


  • Soppressione
    della terza fascia di docenza (ricercatori a tempo indeterminato).

I ricercatori potranno avere un contratto triennale, rinnovabile una sola volta. Dopo i sei anni non potranno più diventare ricercatori a tempo indeterminato (dopo vittoria del concorso) ma potranno concorrere solo all’assegnazione dei pochi posti di professore Associato. Se è vero che il blocco del turn-over proposto dalla 133/08 ha subito delle modifiche e non è stato attuato così come era stato progettato, non si può non notare che queste disposizioni negano di fatto ad una intera generazione di lavorare nel blindato mondo universitario. Ma non basta! I ricercatori rischiano di rimanere fuori anche dal mercato del lavoro, dato che, considerando un normale cursus, si arriverebbe alla scadenza del secondo contratto triennale attorno ai quarant’anni, età in cui difficilmente si può ancora sperare di essere assunti. Se a questo si aggiunge che sono proprio loro ad assumersi la parte più onerosa della vita universitaria, accollandosi spesso mansioni che non dovebbero compiere per contratto (come ad esempio tenere lezioni o svolgere esami) si può facilmente comprendere la ragione della loro protesta.

Queste modifiche accentuano inoltre i caratteri di gerarchizzazione del nostro sistema universitario, rendendo ancora più potenti i professori ordinari, che andranno a costituire ben 2/3 del Senato Accademico. Ad un gradino più in basso sono gli associati e in ultimo i ricercatori resi ancora più ricattabili e docili dalla loro precarietà. Sono loro che mettono in pratica ciò che i baroni decidono, dietro consiglio dei privati. In testa il rettore, cui sono affidate più responsabilità ed è affidato il ruolo di coniugazione del mondo dell’università con quello delle aziende.

Il disegno quindi è chiaro: i privati decidono la linea e le università si adeguano, dando agli studenti le competenze che le aziende reputano vantaggiose, con i costi a carico dello Stato nonchè degli studenti stessi.

Contro la mercificazione del sapere. Per un’università di massa.

Coordinamento
II Policlinico