Le leggi in materia di immigrazione, dalla
Turco-Napolitano, alla Bossi-Fini, fino al Pacchetto sicurezza ed
all’introduzione del reato di clandestinità, fanno parte di una più
generale
ristrutturazione del mercato del lavoro, avviata tra l’altro dai governi
di
centro sinistra con il Pacchetto Treu, approfondita dalla legge 30 e
dalla
riforma del ccnl del centro destra.
La flessibilità è il comun denominatore di un
medesimo progetto che ha il principale obbiettivo di abbassare il costo
del
lavoro di tutta la forza-lavoro e di
affermare il primato dell’impresa sugli individui.
Gli immigrati soprattutto se “irregolari”, sono
una “risorsa” per molti imprenditori, in particolare delle
piccole e medie imprese che,
potendo usare la loro maggiore ricattabilità e subordinazione, impongono
loro
uno sfruttamento e trattamenti salariali altrimenti intollerabili.
Condizione questa che si aggrava ancor di più nel
caso delle donne “irregolari”.
La rivolta di Rosarno, ha squarciato quindi il
velo che le imprese, non solo meridionali, con la complicità dei governi
cercano
di stendere rispetto all’equazione clandestinità=lavoro nero=schiavitù.
Si
tratta infatti di moderne forme di schiavitù, sia nelle retribuzione che
nei
ritmi di lavoro, ma anche nelle più generali condizioni di vita.
Con l’aggravarsi della crisi e l’accesso a forza
lavoro ricattabile peggiorano anche quelle dei lavoratori italiani.
Imprese, banche e governi cercano di scaricare i
costi della crisi economica da loro provocata su tutti i lavoratori.
Licenziamenti, cassa integrazione, abbassamento dei salari,
disoccupazione,
difficoltà a permettersi una casa, taglio alle spese sociali, dalla
scuola alla
sanità, sono diventati una dura realtà anche per milioni di lavoratori
italiani.
Per i migranti tali effetti sono ancora più
disastrosi, poiché per il tipo di lavoro che svolgono e per la
condizione di non
cittadini in cui si trovano, non usufruiscono nemmeno di quei miserabili
ammortizzatori sociali previsti per la maggioranza dei lavoratori
italiani;
inoltre la perdita del lavoro significa spesso ripiombare nella
condizione di
clandestinità perché la infame legge Bossi-Fini lega il possesso del
permesso di
soggiorno al mantenimento di un’occupazione.
In questo contesto le politiche razziste e
populiste, dei governi di centro destra, con il concreto sostegno di
esponenti
ed amministratori di centro sinistra, mirano a contrapporre i lavoratori
immigrati ai lavoratori italiani (precari e non, a nero, inoccupati),
favorendo
un pericoloso clima di odio sociale. L’immagine
dell’immigrato-ruba-lavoro-terrorista-violentatore-criminale, da
respingere/rinchiudere, viene utilizzata con l’unico scopo di indicare
un capro
espiatorio sul quale scaricare le tensioni prodotte dalle precarietà
dell’esistenza. In tal modo si rendono più ricattabili e succubi gli
immigrati
che sono costretti ad accettare condizioni ancora peggiori alimentando
un
circolo vizioso che si ritorce sugli stessi lavoratori italiani.
In realtà padroni e loro rappresentanti politici
non vogliono e non possono espellere l’enorme massa di migranti di cui
hanno
estremo bisogno e vorrebbero rimandare a casa solo quelli che eccedono
le loro
esigenze di sfruttamento. Ecco perché è una deriva autolesionista
aderire alle
campagne xenofobe e razziste anche da parte di proletari italiani.
Siamo, allora, di fronte ad un bivio: farsi
trascinare da questa perversa spirale oppure respingerla al mittente
riconoscendo nei migranti dei propri fratelli di classe, per quanto al
momento
trattati in maniera molto peggiore di noi, con i quali abbiamo in comune
gli
stessi nemici, gli stessi interessi di fondo, con la prospettiva di
difenderci
insieme o precipitare nel baratro di uno scontro tra sfruttati e di un
comune
ulteriore peggioramento.
Infatti, difendere i diritti di migranti, quelli
di cittadinanza come quelli lavorativi, non è solo un atto di umanità di
fronte
alle criminali politiche messe in atto nei loro confronti, ma è l’unica
arma che
abbiamo per contrastare in maniera efficace la politica di chi li vuole
utilizzare come massa di ricatto e di pressione nei nostri confronti.
Le
lotte dei migranti in alcune aziende del nord e ancor di più i ribelli
di
Rosarno, ci parlano, (ed è questo l’aspetto più importante) di dignità e
determinazione, voglia di protagonismo, di rivendicazione di diritti
elementari:
lavoro/reddito, casa, salute, istruzione, gettando ponti verso quel
mondo del
lavoro, in tutte le sue sfaccettature che è drammaticamente aggrappato a
qualche
straccio di garanzia che viene continuamente erosa dalle politiche
antisociali
di questo governo.
Si tratta di raccogliere questo importante segnale
nella prospettiva di sperimentare e organizzare lotte che mirino a
conquistare
migliori condizioni di lavoro e di vita per tutti, al di là del colore
della
pelle, della religione, della cittadinanza, cominciando dal sostegno
alle
rivendicazioni specifiche degli stessi migranti che li rendano meno
ricattabili.
La giornata di lotta del 1° marzo proclamata anche
in Italia, in coincidenza con lo sciopero dichiarato dai migranti in
Francia,
rappresenta quindi un’occasione importante per rompere questa
artificiale e
velenosa dicotomia tra lavoratori migranti e non. Essa assume un
carattere
transnazionale e segna la ripresa delle mobilitazioni contro la
“Fortezza
Europa”.
Durante quella giornata è quanto mai necessario
promuovere scioperi e/o fermate nei
posti di
lavoro, blocchi e mobilitazioni nei territori per rafforzare le
rivendicazioni
dei migranti e per esprimere la nostra ripulsa contro il clima e la
politica
razzista portata avanti dal governo e dalle istituzioni.
Questo vuol dire la scesa in campo ed un
impegno preciso di tutto il sindacato.
I sindacati confederali, infatti, nonostante
abbiano, soprattutto al nord, centinaia di migliaia di iscritti
immigrati, non
fanno quasi nulla di concreto per la tutela dei loro diritti dentro e
fuori i
posti di lavoro, anzi spesso li utilizzano come alibi per portare avanti
una
politica di ulteriore subalternità alle pretese padronali di ottenere
nuovi
peggioramenti generalizzati.
Anche di fronte all’iniziativa del 1 marzo hanno
in buona sostanza tergiversato accampando, quando pure si sono espressi,
inconsistenti motivazioni. E’ ora di prendere una chiara posizione ed
assumere
iniziative concrete e vere di sostegno alle lotte e ai diritti dei
migranti a
partire proprio dal 1 marzo.
Promuoviamo delle mozioni nel corso dei congressi
in corso e nelle assemblee sui luogo di lavoro per i contratti e le
vertenze in
atto, affinché la questione dei diritti dei migranti ed il sostegno alle
loro
rivendicazioni venga messo al centro della mobilitazione per respingere
gli
attacchi padronali.
Ma soprattutto facciamo del primo marzo una base
di partenza per avviare ovunque dei comitati unitari composti da
migranti ed
italiani in cui paritariamente si discuta come promuovere la comune
lotta contro
il razzismo e per una più efficace difesa della condizioni di vita e di
lavoro.
Rete
anticapitalista
campana
A
questo appello invitiamo ad aderire singoli lavoratori, rappresentanti
sindacali
di base e chiunque voglia contribuire a sostenere la lotta dei migranti
ed
esprimere il proprio rifiuto della politica razzista.