“La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”
Stiamo assistendo col passare degli anni ad un processo di continua svendita e dismissione dei servizi sociali nel nostro paese, mascherato dalla scusa della maggiore competitività; ciò è ben evidente con l’inizio della destrutturazione della sanità pubblica, iniziato nel 1992 con la trasformazione delle vecchie unità sanitarie locali (usl) in aziende sanitarie locali (asl).
Questa operazione, che sulla carta avrebbe aumentato l’efficacia e l’efficienza, ha in realtà trasformato la salute in merce, che ha un valore sul mercato, e gli ospedali in luoghi dove si offrono prestazioni fino a che non superano un determinato budget in modo tale da rientrare nel preventivo (DRG).
Tale processo trasformativo è iniziato nel pieno degli anni 90 con l’esplosione delle politiche neoliberiste, diventate poi una costante della politica europea ed italiana e che, ovunque, ha portato ad un semplice passaggio di gestione della maggior parte dei servizi dal pubblico al privato, senza alcun vantaggio per i cittadini.
Oggi su servizi fondamentali, come scuola e sanità, si stanno abbattendo i tagli delle misure di austerity, con cui il governo e le istituzioni sovranazionali, come il Fondo Monetario Internazionale, il WTO ela BCE, pur di difendere gli interessi di padroni, speculatori e banche, cercano di scaricare la crisi sempre e solo sui lavoratori e gli ultimi anelli della catena sociale.
Se sulla scuola e l’università è caduta la scure di Mariastella Gelmini (con il compiacimento del neo premier Monti), sulla Sanità pubblica incombono misure di ripiano del deficit che riguardano quasi tutte le Regioni Italiane.
Oltre al danno anche la beffa: le dissanguanti misure dei decreti emergenziali che prima riguardavano solo le regioni commissariate, nella nuova manovra, presentata in questi giorni dal nuovo esecutivo “tecnico”, saranno allargate a tutte le regioni italiane. Così come era già accaduto in passato con la gestione di un’altra emergenza, quella dei rifiuti, che dapprima riguardava solo la nostra regione ed il cui modello criminale è stato, successivamente, esportato nel resto del paese.
Campania: laboratorio di privatizzazione
In Campania tutti le amministrazioni sin qui succedutesi, di qualsiasi colore politico, hanno portato negli anni al raggiungimento di quell’enorme deficit strutturale nel settore sanitario senza generare, nello stesso tempo, un miglioramento del servizio offerto ai cittadini della nostra Regione.
Dopo decenni di politica sanitaria nazionale tutta incentrata a favorire le case farmaceutiche, trasformando in patologia ogni disagio o malessere, dopo gli sprechi e le clientele di politici, spesso con le mani in pasta nei centri convenzionati e nelle cliniche private, che con logiche lottizzatorie hanno fatto della sanità il bengodi dei privati con l’aiuto di primari menefreghisti e di baroni universitari, oggi chiedono a noi cittadini di pagare il prezzo del risanamento di questo settore.
Il cosiddetto ripianamento del deficit nella nostra Regione ha “giustificato” la ormai sperimentata logica dell’emergenza con l’introduzione del commissariamento per l’intero comparto sanitario e nella stesura dell’odiato “decreto 49/2010”.
Con questa norma commissarialela Sanitàdella nostra Regione è stata sottoposta nell’arco di un triennio ad un drastico taglio di posti letto, accorpamento di strutture, rinnovo del blocco del turn over ,ormai sono più di 10 anni che non si assume più personale e si esternalizzano i servizi, chiusura e riconversione di strutture considerate “inefficienti”.
Queste “cure” però non riguardano le strutture private convenzionate con il sistema sanitario regionale che rappresentano e rappresenteranno sempre di più l’asse su cui è destinata a ruotare il nuovo modello di sanità.
Per accelerare questo processo bisogna mettere mano, però, a quei pochi e malmessi presidi di assistenza pubblica presenti sui nostri territori che ci vengono presentati come “mostri” di inefficienza.
Nel porre rimedio a queste inefficienze sono nate situazioni incredibili come la paventata riconversione del P.O. Maresca di Torre del Greco a centro di lungodegenza e riabilitazione (uscendo dalla rete delle emergenze e perdendo il pronto soccorso h24), privando un territorio di 300mila abitanti dell’ospedale di riferimento.
L’identica tattica è stata utilizzata per chiudere il reparto di Radioterapia del “Pascale”,che con la scusa dell’ammodernamento, ha sospeso il servizio pubblico costringendo le donne napoletane affette da tumore alla mammella a curarsi presso cliniche convenzionate che però, non possedendo tutti i macchinari, le indirizzano, volenti o nolenti, a recarsi presso strutture private, dove pagano somme esorbitanti per effettuare una terapia che nel pubblico è gratuita.
In particolare, il caso dei reparti di ‘emergenze ed urgenze’ è emblematico per capire come la “ristrutturazione” della sanità che sta per attuarsi nella nostra regione sia frutto di una politica scelleratissima che non tiene conto dei bisogni minimi di una popolazione con una così alta densità. Infatti si tratta di una politica di tagli e privatizzazioni che smantella presidi di pronto soccorso e reparti, accorpa ospedali in maniera arbitraria e chiude nosocomi giustificando questi atti come utili per evitare “doppioni” e “aiutare il paziente con strutture uniche d’eccellenza” che però sono ben lungi dal poter essere raggiunti dall’ampio bacino d’utenza che la nostra regione possiede.
Paradigmatici sono i casi dei vari pronto soccorso chiusi o in chiusura al “S. Gennaro”, al “Pellegrini” e all’ “Ascalesi”. Tutti questi ospedali sono situati in quartieri popolari, con bacino d’utenza molto ampio, e da sempre svolgono un ruolo importantissimo nella cura e nella prevenzione per la popolazione napoletana e in genere campana.
Cosa vogliamo? Vogliamo tutto!
Questa situazione degenerata, che purtroppo continuerà a degenerare sempre di più, altro non è che il modo che hanno i padroni per approfittare della crisi che essi stessi hanno creato, spolpando fino all’osso ogni residuo di stato sociale conquistato nel passato con le lotte dei movimenti. A questo si riduce il fitto blaterare sul rilancio della crescita dell’Italia: aumento del mercato interno, privatizzando ciò che è rimasto pubblico in modo tale da aumentare i profitti per un ristretto numero d’imprenditori, chiaramente i più importanti e potenti del paese; peggioramento delle condizioni dei lavoratori, sempre più ricattabili e sfruttati.
Di fronte a quest’attacco alle nostre stesse vite, l’unica alternativa a soccombere è reagire con la medesima forza, puntando non solo a “salvare il salvabile”, ma a prenderci tutto quello di cui abbiamo bisogno. Vogliamo che la sanità sia veramente pubblica, fruibile per tutte e tutti senza distinzioni di censo, sesso e nazionalità, senza ticket e pagamenti aggiuntivi di sorta, senza attese infinite, con reparti e macchinari adeguati alle esigenze dei pazienti e non di chi vuole lucrare.
Questo non è pensabile senza una formazione universitaria appropriata, scevra dagli interessi delle aziende (lampante l’esempio delle multinazionali farmaceutiche nei CDA), che non sia riservata ai “pochi eletti” la cui idoneità viene stabilita con criteri arbitrari (test d’ingresso e sbarramenti degli esami), e solo a coloro che possono permettersi di sostenerne i costi sempre maggiori e i ritmi sempre più estenuanti.
Non è nemmeno pensabile che si possano garantire cure ai pazienti se si continuano a calpestare la dignità e i diritti dei lavoratori, che dei rimaneggiamenti nelle strutture sanitarie campane stanno pagando un prezzo altissimo sin dall’inizio, con ritardi nell’erogazione degli stipendi (per esempio le ditte di pulizia), affollamento e straordinari nei reparti (come accade per gli infermieri e i barellieri), minacce di licenziamenti. Non è tanto difficile immaginare quali potrebbero essere le conseguenze del totale compimento della privatizzazione: ciò che adesso è straordinario ed emergenziale diventerebbe per tutti i lavoratori la norma.
Rivendichiamo, infine, il vero diritto alla salute e non soltanto alla cura, diritto che passa inevitabilmente per il cambiamento di una società che avvelena l’ambiente, precarizza e rende insostenibili le condizioni di lavoro, con il moltiplicarsi di infortuni ed “omicidi bianchi”, impone ritmi di vita sempre più veloci, competitivi e usuranti. La questione riguarda davvero tutti, come pazienti, come lavoratori, disoccupati, migranti e studenti.
LA SALUTE NON SI TOCCA CE LA RIPRENDEREMO CON LA LOTTA!
Movimento in Lotta perla Salute Pubblica