Ancora una volta rientra nella cronaca di tutti i giorni (come se ogni volta fosse una cosa nuova) la questione aborto e obiezione di coscienza.
Recente è infatti la notizia della donna costretta ad abortire in un bagno a Roma per la mancanza di assistenza sanitaria ma come questa ce ne sono state di altri tristi storie di mancato soccorso e aiuto e di non rispetto di un diritto fondamentale come quello dell’autodeterminazione del proprio corpo.
A proposito di questo tema, il giornale “internazionale” ha pubblicato questa mattina una mappa con le percentuali degli obiettori nelle varie regioni. Da questa inchiesta è emerso (cosa che non stupisce i più) che la percentuale media di obbiettori tra i medici è del 60% che in alcune regioni sale al 90% (tra cui la Campania che conta la maggior percentuale di obiettori presenti sul territorio italiano).
Un osservatore superficiale potrebbe attribuire questi dati alla mancanza di laicità tra i medici,impelagandosi in assurde discussioni da talk-show sulla libertà religiosa,il diritto all’autodeterminazione del medico,etc.
La reale causa di questo massiccio e sempre più sposato e giustificato ostruzionismo alla possibilità per le donne di decidere del proprio corpo e della propria vita si manifesta non solo con l’impossibilità dell’aborto,sia esso effettuato tramite intervento chirurgico o con l’assunzione del Mifepristone (Ru486) per mancanza effettiva di personale (ginecologi, anestesisti, infermieri,etc.), ma anche tramite la negata possibilità di prevenire una gravidanza indesiderata, casi noti a molti sono di medici nei consultori o addirittura di farmacisti che non prescrivono o vendono la cosiddetta pillola del giorno dopo (o Levonorgestrel).
Sarebbe riduttivo definire questo fenomeno una “semplice scelta personale” in quanto la realtà è ben diversa e celata beceramente con una questione morale ed etica. Difatti questo fenomeno che è peggiorato sempre più, dati del 1983 (59%), 1991 (65%), 2001 (67%), 2009 (71%), non è nient’altro che il frutto della massiccia presenza di cliniche private in cui si praticano aborti a pagamento e dove spesso e volentieri lavorano gli stessi medici che si erano definiti obiettori negli ospedali pubblici.
E’ quindi la possibilità del profitto nell’ambiguità pubblico-privato di cui vive oggi la sanità italiana che permette ai cosiddetti “obiettori” di lucrare su interventi di aborto non disponibili in strutture pubbliche indirizzando le donne verso strutture non convenzionate in cui loro stessi attuano suddette metodiche. Pur non volendo generalizzare, il numero di obiettori tout-court, che non pratichi cioè interruzioni di gravidanza in strutture private, è realmente esiguo.
Quindi non è stupefacente o inaspettata, alla luce di quanto detto, la cronica mancanza di operatori non obiettori in reparti ginecologici e consultori (la cui presenza dovrebbe esser garantita per legge nel numero di uno per turno). Questo causa l’allungamento dei tempi di attesa per le donne che HANNO IL DIRITTO di decidere della propria vita e spesso impedisce loro di accedere all’interruzione volontaria di gravidanza per il sopraggiungere del limite di 3 mesi dal concepimento.
È quindi evidente che, come in ogni ambito della vita di relazione ed economica, il capitale nella forma del profitto personale, invada e svilisca anche la liberta di autodeterminazione delle donne, privandole così del diritto alla salute nella sua più ampia accezione di benessere socio-psico-fisico.