Sulla Strage di Piazza Fontana

“E penso al 12 Dicembre ’69:

 lo stato delle stragi, sì, lo stato delle trame…”

99 Posse – Odio

 Tra il 1968 e il 1974 in Italia furono compiuti 140 attentati, tra i quali quello di piazza Fontana fu uno dei più sanguinosi (insieme alla strage di Bologna avvenuta nel 1980).

La strategia del revisionismo storico ha cancellato la memoria di questa strage compiuta dai fascisti e voluta dallo stato italiano. Una data, una strage, molto più che scomoda, che ha mostrato il vero progetto politico della “democrazia” borghese italiana: annientare tutti coloro che lottano per i propri diritti per mantenere lo status quo che salvaguarda la classe dirigente e annienta quella lavoratrice. Questo disegno politico, conosciuto come “strategia della tensione”, è stato messo in atto attraverso stragi e attentati avvenuti in Italia con particolare intensità tra il 1969 e il 1984 con la partecipazione nascosta (o il benestare) di settori dello Stato in azioni terroristiche ai danni del proprio popolo, in particolare nei confronti dei movimenti operai e studenteschi che in quegli anni, grazie alle lotte, ottennero più diritti e servizi pubblici. Questa strategia si è parimenti esplicata e si esplica tutt’oggi nella divisione, manipolazione e controllo dell’opinione pubblica mediante l’uso di paura, propaganda, disinformazione, manovre psicologiche e repressione sociale. La riscrittura della storia serve allo stato borghese per affermare le proprie verità, quelle di chi domina. Il nostro scopo è far conoscere l’effettiva verità, quella degli sfruttati e degli oppressi.

 

La Strage di Piazza Fontana: 12 dicembre 1969

L’esplosione avvenne il 12 dicembre 1969 alle ore 16:37:una bomba scoppiò nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano, uccidendo diciassette persone (quattordici sul colpo) e ferendone altre ottantotto. Le indagini vennero orientate inizialmente nei confronti di tutti i gruppi anarchici; furono fermate per accertamenti circa 80 persone,in particolare alcuni membri del Circolo anarchico 22 Marzo di Roma (tra i quali figura Pietro Valpreda) e del Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa di Milano (tra i quali  Giuseppe Pinelli).

 

In uno di questi interrogatori avvenne la morte del compagno anarchico Pinelli che “precipitò accidentalmente” da una finestra della questura di Milano. Per chiarire le circostanze nelle quali si svolse la morte di Giuseppe Pinelli fu avviata un’inchiesta. La Questura di Milano affermò in un primo tempo che Pinelli si fosse suicidato poiché era stato dimostrato il suo coinvolgimento nella strage, ma questa versione fu smentita nei giorni successivi.

Il fermo di Pinelli era illegale perché egli era stato trattenuto troppo a lungo in questura: il 15 dicembre 1969 (la data della sua morte) egli avrebbe dovuto essere libero, oppure in prigione, ma non in questura. Il fermo di polizia poteva durare, infatti, al massimo due giorni.

In un primo momento lo stesso questore Marcello Guida, l’ex fascista che durante il ventennio fu direttore delle guardie dei carceri di Ventotene (l’isola dove vennero segregati gli anarchici prima di esser trasferiti nel campo di concentramento di Renicci d’Anghiari)e Santo Stefano, dichiarò alla stampa che il “suicidio” di Pinelli era la dimostrazione della sua colpevolezza, ma questa versione fu poi ritrattata quando l’alibi di Pinelli si rivelò credibile. Ad oggi lo stato ha assolto se stesso e il suo esecutore materiale Luigi Calabresi, commissario che interrogò Pinelli, e che fu responsabile della sua morte.

Le indagini e i processi (sette) si susseguiranno nel corso degli anni, con imputazioni a carico dei veri colpevoli: vari esponenti di destra.Tuttavia alla fine tutti gli accusati saranno sempre assolti in sede giudiziaria. Alcuni di questi verranno, peraltro, condannati per altre stragi. Altri si gioveranno della prescrizione.

Alcuni esponenti dei servizi segreti verranno condannati per depistaggi; l’inchiesta del giudice Salvini affacciò anche un’ipotesi di connessione col fallito golpe Borghese (colpo di Stato tentato in Italia durante la notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970  e organizzato da Junio Valerio Borghese, noto fascista, sotto la sigla Fronte Nazionale, in stretto rapporto col ministero della difesa, la polizia e i carabinieri).

 

In 38 anni, non è mai stata emessa una condanna definitiva per la strage, anche se Carlo Digilio, neofascista di Ordine Nuovo, ha confessato il proprio ruolo nella preparazione dell’attentato e ottenuto nel 2000 la prescrizione del reato per il prevalere delle attenuanti riconosciutegli, appunto, per il suo contributo.

Nel 2005 la Corte di Cassazione ha assolto definitivamente gli ultimi indagati (Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni, militanti di Ordine Nuovo condannati in primo grado all’ergastolo) scrivendo però nella sentenza che con le nuove prove – emerse nelle inchieste successive al processo milanese nel 1972 e alla definitiva assoluzione nel 1987 – gli ordinovisti veneti Franco Freda e Giovanni Ventura sarebbero stati entrambi condannati.

 

Il 12 dicembre rappresenta una data importante della Storia, estirpata dalla memoria per costruire un “consenso sociale” attorno ad uno Stato che ancora oggi, come ieri, crea disoccupazione, sfruttamento e malattia e criminalizza chi prova ad opporvisi. Per questo è importante ricordare quello che avvenne. Per questo è importante ricordare chi sono i veri colpevoli e qual’è stato, ed è tuttora, il ruolo di coloro che si definiscono “fascisti”: quello dei servi dei servi del potere.

Il 12 dicembre ce l’ha insegnato:il vero terrorismo è quello dello stato

                                                                                                                  coordinamento II Policlinico