LASCIA ALLE DONNE LA LIBERTA’ DI SCELTA!

(alcune riflessioni sull’aborto a cura del Coordinamento II Policlinico – coor2pol.noblogs.org    coor2pol@gmail.com)

 

Ecco arrivato un nuovo 8 marzo di spogliarelli e mimose: cos’hanno le donne italiane da festeggiare? Forse di avere la stessa considerazione di oggetti decorativi? Forse condizioni lavorative penalizzanti e precarie, con la prospettiva di dover rivestire, talvolta più per necessità che per scelta, anche il ruolo di colf e badante a tempo pieno? O magari di avere sempre meno possibilità decidere liberamente per sé e per il proprio corpo, se diventare madri, se ricorrere all’aborto?

Le lotte in nome del diritto alla autodeterminazione della donna e il dibattito sull’interruzione di gravidanza, hanno una storia controversa e hanno portato all’emanazione della legge 194/78 sull’aborto. In un clima politico fervido, grazie a un dibattito di ampio respiro all’interno della società civile, la “legge sull’aborto” rappresentò infatti l’ennesimo tassello per una sempre maggiore emancipazione femminile.

La 194/78 è sicuramente una legge che oggi non risponde a tutte le esigenze della donna in Italia e la più forte minaccia alla interruzione volontaria di gravidanza (IVG) è rappresentata dall’obiezione di coscienza, possibilità garantita ai sanitari medici e non medici proprio da questa legge e che oggi interessa una percentuale di lavoratori così alta da rappresentare una tangibile minaccia alla libertà di ricorrere ad aborto.

Un po’ di dati sull’obiezione di coscienza in Italia

I dati dell’ISS riguardo al fenomeno sono parziali, ma pur sempre evocativi del problema:

–        Per quel che riguarda i ginecologi assistiamo a una progressiva crescita della percentuale di obiettori, tenuti presente i dati del 1983 (59%), 1991 (65%), 2001 (67%), 2009 (71%).

–        Questo stesso fenomeno interessa ugualmente gli anestesisti ed il personale non medico, con percentuali più attuali che si attestano però attorno al 50%.

Come spesso si dice per sentito dire il fenomeno interessa in misura tristemente maggiore le Regioni del Sud Italia, ed anche in questo caso sono i dati dell’ISS a dare una misura di questa diseguaglianza su censimenti aggiornati al 2009:

–        I ginecologi obiettori ammontano al 65% nelle regioni del Nord, al 69% nelle regioni del Centro, al 80% nelle regioni del Sud.

–        Ancora una volta le percentuali per anestesisti e personale non medico sono più basse ma ugualmente rappresentative del problema, rispettivamente con percentuali del 43%, 52% e 66-69% per i primi e del 31%, 48-56%, 72,5% per i secondi.

Il primato tutto negativo del minor tasso di ginecologi in rapporto alla numerosità di donne in età fertile è proprio Campano peraltro, con un valore di soli 0,4 operatori/10000 donne in età fertile.

Le ragioni degli operatori sanitari, le ragioni dei farmacisti.

Ma a cosa è dovuta questa crescita progressiva delle percentuali di obiettori in Italia? Spesso questo ha solo un significato di comodo piuttosto che ideologico, perché rappresenta la via più facile per aggirare una carriera limitante e turni di lavoro massacranti, la discriminazione da parte dei colleghi non abortisti, responsabilità legali pesanti, talvolta vero e proprio mobbing all’interno della struttura in cui si lavora. Come se non bastasse, molti dei medici non abortisti nel pubblico, praticano frequentemente aborti, previo lauto compenso, nei loro studi e cliniche private. Questa situazione aumenta i rischi dell’operazione data l’assenza di strutture di emergenza; infatti, in caso di complicazioni, la paziente dovrebbe essere trasportata con l’ambulanza nell’ospedale più vicino! La pratica di reindirizzare i propri pazienti dal pubblico al privato, comune anche per altre branche della medicina, ha l’esempio più eclatante nel caso Jannelli di 2 giorni fa. Ma la via più vantaggiosa per il medico è anche la più giusta per la donna? Noi pensiamo di no e questo è un invito a scegliere con maggior consapevolezza se schierarti a favore della autodeterminazione femminile o concorrere a demolirla o semplicemente a minacciarla.

Eguale complicazione si configura oggi nel campo dei farmacisti, che avanzano la richiesta di poter essere equiparati al personale sanitario nella possibilità di poter fare obiezione di coscienza. Il dibattito è tutto incentrato sulla distribuzione dei contraccettivi di emergenza (la cosiddetta “pillola del giorno dopo” – Levonergestrel) e interessa quei lavoratori che si rifiutano di concorrere all’interruzione di gravidanza col sistema dell’impianto negato. Ma se si nega l’impianto come può iniziare una gravidanza? E se non c’è gravidanza come la si interrompe? Le posizioni di molti farmacisti non sanno andare oltre queste semplici domande, dal momento che spesso sono maturate in un clima di disinformazione e sotto le forti pressioni della comunità cattolica.

Ma quali sono le conseguenze dell’obiezione di coscienza? Innanzitutto una profonda disinformazione sul problema, che si traduce in una scarsa prevenzione. Anche nel caso di aborto terapeutico infatti la donna è spesso abbandonata nel suo iter abortivo, sola nella corsa contro il tempo e con le difficoltà aggiuntive di trovare liste d’attesa in cui inserirsi rispettando i tempi imposti dalla legge, spesso spostarsi (talvolta anche all’estero), sottoporsi a sofferenze fisiche e psicologiche inutili. Il tutto si traduce nell’incapacità della donna di scegliere in piena libertà, in serenità, nel rispetto del proprio dolore e della propria scelta.

Infine: quali sono le posizioni antiabortiste più comuni anche fra i “non addetti ai lavori”?

Una delle più inflazionate argomentazioni antiabortiste in Italia e nel mondo, afferma che parallelamente alla loro legalizzazione, le IVG (interruzione Volontarie di Gravidanza) avrebbero subito un’impennata in termini numerici. Ma tale teoria è confermata da dati scientifici? La risposta è no! Appare chiaro in un recente articolo di Lancet che va smentita con fermezza! In questo studio si prova che “il tasso di aborto è più basso nei Paesi con leggi permissive” e che “leggi più restrittive sull’aborto non sono correlate con un abbassamento del tasso di interruzione di gravidanza”. Lo studio è stato condotto analizzando dati dell’OMS nel periodo 1995-2008, dunque su una finestra di tempo piuttosto ampia.

In particolare si pone in evidenza che il tasso di aborto nel mondo ha subito un calo fino al 2003 per poi restare costante nel quinquennio 2003 – 2008 (28 casi ogni 1000 donne in età fertile), contrariamente ai tassi di aborto non eseguiti in sicurezza, che stanno subendo un progressivo aumento (dal 44% al 49%) e che sono causa di una morte su sette, nel caso di donne gravide.

La strada da percorrere per garantire alla donna una piena autodeterminazione è lunga e ricca di ostacoli, ma uno dei passi più importanti possiamo farlo noi! Prendere coscienza del problema e formarsi in maniera critica e libera da retaggi culturali bigotti è parte della soluzione!

CONTRO GLI ATTACCHI ALLA LIBERTA’ DI SCELTA,

PER UN OTTO MARZO CHE SIA DAVVERO DI LIBERAZIONE!