Amos Oz, Premio Napoli 2010 per la letteratura straniera, è a torto considerato in Occidente un liberal, un teorico del “compromesso” ed i suoi libri hanno contribuito alla creazione del mito della fondazione e poi della vita in Israele.
Manifesta precocemente la sua adesione alla colonizzazione delle terre palestinesi partecipando all’ideologia dei kibbutz e la sua scelta per la pace è del tutto demagogica. È solo così che può sostenere ancora la soluzione di “due Stati per due popoli”, di fronte alla sproporzione di violenze e ingiustizie: “È l’unica salvezza possibile, l’unica luce in fondo al tunnel”. Anche se Israele sfrutta e opprime il popolo palestinese: “Siamo una famiglia infelice, non ci amiamo, ma possiamo ancora vivere insieme”.
È su questa base che Oz, come altri al servizio della propaganda sionista, sostiene la costruzione del muro dell’apartheid, le testate nucleari in mano agli israeliani e le azioni repressive dell’esercito. Durante la guerra in Libano ha scritto: “Il movimento israeliano per la pace dovrebbe sostenere lo sforzo di Israele per l’auto-difesa, pura e semplice”. Durante l’operazione “Piombo Fuso”: “I bombardamenti che mirano a colpire sistematicamente le comunità civili israeliane sono un crimine di guerra e un crimine contro l’ umanità. Lo Stato di Israele deve proteggere i propri cittadini”. Forse non si rende conto della la sproporzione tra missili “casalinghi” e armi di distruzione di massa?!
Esistono intellettuali che non hanno la sua fama ma che lottano e pagano di persona perché Israele non pratichi più una politica razzista e imperialista e per una vera pace in Palestina. Sono i primi a subire discriminazioni e intimidazioni. Eccone alcuni: Aaron Shabtai, Yitzhak Laor, Ilan Pappè, Michel Warschawski, Tanya Reinhart, Jeff Halper, Uri Avnery. Nonostante i pericoli, queste come tante altre persone anonime costituiscono la coscienza antisionista di Israele. Il ricordarli vuol essere un modo per dar spazio a una vera controcultura che non si piega alle richieste della politica sionista, come succede per tutti quegli artisti israeliani che, invece, si prostrano davanti alla richiesta di firmare una dichiarazione che li impegna a propagandare un’immagine positiva e idealizzata di uno stato che quotidianamente perpetra crimini contro l’umanità (Rapporto Goldstone).